GIOCARE COL DOLORE
COME E PERCHE’ CI FACCIAMO DEL MALE DA SOLE
IL LATO DI TE CHE NON CAPISCI
Se è capitato anche a te di non riuscire a controllarti in una tua azione o decisione, pur sapendo che questa ti avrebbe portata a soffrire, questo articolo potrebbe interessarti.
Si tratta di uno dei temi dell’essere umano (e, se parliamo di relazioni sentimentali, in particolare della donna), forse più affascinante e oscuro in assoluto.
Sono infinite le modalità con cui ci autoprocuriamo e ci causiamo dolore. Quasi sempre, più o meno inconsciamente o appena sulla soglia della lucidità. Più sotto, cercherò di riassumerli in “famiglie”.
LA FORZA MOTRICE DEL DOLORE
Credo sia doveroso premettere che il dolore è considerato dalle più alte scuole di pensiero di tutto il mondo un potente motore.
La forza motrice che ci fa muovere verso un’evoluzione (accanto, naturalmente, alla sacra energia sessuale).
Credo anche che a monte tutto abbia sempre un senso e che se una persona si è in qualche modo infilata in una certa situazione, la sua essenza (inconscio, anima o quello che vuoi) sa di aver bisogno proprio di quel problema o di quella forma e dose di dolore per comprendere certe cose e poi crescere, andare oltre.
Ma tornando a un piano più a valle, vediamo qui i motivi primi per cui una donna, per esempio, finisce in una relazione tossica. O perché una ragazza diventa bulimica o anoressica. O ancora perché, solo per fare un altro esempio tra infiniti, una persona si autodenigra continuamente, auto-censurandosi delle possibilità reali nella vita.
ALCUNE TIPOLOGIE DI DOLORE AUTOCAUSATO
I motivi inconsci principali possono essere:
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L’errato collegamento, registrato nel cervello nell’infanzia, tra dolore e autoaffermazione, identificazione, individualizzazione. Soffro dunque sono.
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L’altrettanto errata convinzione che solo soffrendo e lottando per poi uscirne possiamo essere considerate persone degne di stima, forti e capaci. Così, per il nostro inconscio, soffro dunque mi stimano.
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Il soffro dunque mi percepiscono di chi tende a fare sempre la vittima, lamentandosi in automatico di tutto e sottolineando sempre solo i lati negativi e qualunque minimo disturbo. Senza mai dare attenzione ed energia alla parte positiva di se stessi,delle proprie risorse e del mondo che ci circonda. Però, in alcuni casi, questa tendenza può diventare anche un – soffro dunque mi coccolano, oppure – soffro dunque posso appoggiarmi a qualcun altro.
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Un caso purtroppo ancora molto comune nelle donne è il masochismo, più o meno velato, del – soffro dunque sono degna d’amore, oppure nella sua variante – soffro dunque so dare tanto amore.
In tutti i casi, si tratta di tendenze umane all’autolesionismo, seppur in certi casi anche lievi.
Quello che viene riassunto spesso sotto il cappello di mal d’amore si fa risalire al tipo di masochismo che la psicanalisi chiama “morale”, per distinguerlo da quello fisico e sessuale.
Per capirci, tutte le volte in cui ci siamo sentite non valorizzate in una relazione, o trascurate, fino all’umiliazione (che può altrettanto presentarsi in gradi diversi) possiamo parlare di masochismo morale. Chiariamo subito che non si tratta di trarre piacere dal dolore, ma di situazioni che vengono subite come dolorose e basta, da cui si vorrebbe uscire ma non si sa come e di cui, nella stragrande maggioranza dei casi, non ci si rende conto di essere le autrici dirette.
SCIENZA DELLA MENTE VERSUS POETICA DEL CUORE
Psicologia, psicanalisi e counseling hanno fatto passi da giganti negli ultimi decenni, in particolare nell’individuare quali sono le forze che si muovono nell’inconscio e che sono spesso responsabili di ciò che una volta si riteneva un destino ineluttabile. E da cui invece, attraverso diversi tipi di approcci e di tecniche, si è dimostrato che si può uscire.
Nello stesso tempo, mi chiedo a volte se le categorie e le definizioni che ci hanno portato psicanalisi, psicologia e poi PNL e simili, non siano in qualche modo riduttive e demitizzanti rispetto all’universo che è una persona.
Voglio dire che a volte potremmo trovare una lettura più olistica e umana (vasta, amorevole, completa e realistica) nell’analisi di una figura mitologica, riconoscendole paralleli con la nostra situazione, che non nell’appioppare a lei l’etichetta di “masochista e compulsiva” e a lui quella di “narcisista” o di “depresso”.
I miei sono solo esempi.
Vorrei qui sollevare il sospetto che a volte non ci sia più utile, e non potremmo magari sentirci più accettati, nel ritrovare una nostra pulsione in una Medusa (deragliamento dell’intelletto?), o in una sua vittima (pietrificazione davanti a un abisso?), o in un archetipo junghiano, di quelli che non a caso popolavano mitologie e favole, che non nel cercare di spiegare tutto con queste definizioni moderne che più che definire, a volte finiscono una persona.
Cioè, la relegano a un destino (all’essere anziché al sentirsi). E con esso la identificano, ad esso condannandola mentre cercano invece di aiutarla: bulimica, borderline, depressa, malata, bipolare… Lasciando in questo modo fuori le migliaia di altri lati della persona e tendenze contrapposte, e a volte salvifiche, che la rendono l’universo unico e peculiare che è, pacchetto completo.
Solo per fare un esempio, quante interpretazioni nasconde un Orfeo, che può salvare dal regno degli Inferi il suo amore Euridice e che per farlo non deve voltarsi a guardarla finché non ne sono usciti?
Quante di noi hanno dovuto vivere questa prova e quante hanno fallito, voltandosi a guardare prima del tempo e perdendo così l’oggetto del loro amore, prese da mancanza di fede (in sé, nell’altro e nel proprio percorso) e sconforto? Quante miriadi di volte si è ripetuta, nei millenni, la stessa trama, in quante vite di quante persone, fino ai giorni nostri? E quanti la stanno vivendo proprio adesso?
Per poi non parlare del fatto che fino al Romanticismo ottocentesco tutta la letteratura umana era popolata dagli stessi lati nel nostro inconscio, i quali allora, ben lungi dall’essere liquidati in dieci termini clinici, incarnavano i demoni: le forze motrici di miti, romanzi e poesie. E oggi, al massimo, dei film.
Penso che i nuovi approcci olistici, figli in gran parte delle scuole di pensiero ancestrali, dall’America all’Asia, aiutino.
Ma penso allo stesso tempo che la strada per trovare il posto giusto nella vita umana a questi lati oscuri non sia ancora finita e che manchi soprattutto, per così dire, un’integrazione femminea tra l’analisi clinica e la narrativa della persona. Tra un doloroso percorso psicoterapico e la potenza dell’arte-terapia e delle sue molteplici applicazioni, dalla pittura al disegno, dal canto alla scrittura fino alla danza. Tra la diagnosi e la com-prensione della poetica di quel demone, delle sue origini, del suo sviluppo, ai fini di una accettazione, una presa di coscienza globale del fenomeno (o dell’entità), che porti poi finalmente ad una guarigione e liberazione
Con queste due belle citazioni, linko qui un blog (La Mente E’ Meravigliosa) che amo particolarmente, se vorrai cliccarci su e trovare ancora altre informazioni:
Accontentarsi di avere meno di ciò che ci spetta ci corrompe.
Usare una relazione d’amore per soddisfare la nostra paura di non saper come affrontare noi stessi per mancanza di conoscenza o di non essere pronti ad affrontare la vita non è giusto.
ALCUNE FACCE DEL DOLORE
Ripercorrendo un po’ della storia umana, si può passare da varie visioni del dolore. Le quali tutte, a loro volta, possono essersi incarnate nell’uno o nell’altro vissuto di ogni persona: nel suo modo di vedere le cose.
Partiamo da un’ottica meramente cattolica e ben poco ottimista, in cui il dolore è ineluttabile in quanto derivante da un peccato originale che erediti per nascita e in quanto questo pianeta è comunque rappresentato da una “valle di lacrime”.
Secondo questa visione, siamo condannati e la felicità può essere possibile solo dopo la morte. Una visione in cui prevarrebbe il thanatos sulla libido (forza della morte sulla forza della vita e dell’amore), utilizzando una terminologia freudiana di derivazione greca (eros e thanatos).
Una visione che personalmente non prendo neanche in considerazione, perché visto come la Chiesa ha trattato le forze femminili nella storia (e visto quanto poco ha applicato i messaggi del Cristo), la ritengo limitata, quindi neanche attendibile.
Passiamo poi alla visione buddista, che attribuisce sì certe sofferenze a un karma passato (per cui secondo un’universale legge del taglione siamo portati per forza a compensare torti causati ad altri in vite precedenti), ma allo stesso tempo avremmo la possibilità di redimerci e raggiungere le vette dell’evoluzione (illuminazione) anche all’interno della vita attuale, come nel buddismo giapponese derivato da Nichiren Daishonin.
Per poi indagare teorie di altre civilizzazioni per nulla trascurabili, come quella dei toltechi di cui si è fatto portavoce l’antropologo Carlos Castaneda, studiando in Messico presso il famoso sciamano Don Juan.
Secondo i toltechi, il dolore verrebbe originato da entità energetiche che, contrariamente a quanto dice la psicanalisi, non sarebbero parti di noi, ma sarebbero appunto a noi aliene e si attaccherebbero come parassiti alla nostra mente, determinando i nostri comportamenti non in linea con la nostra essenza, e quindi causandoci dolore.
Queste forze oscure venivano da loro chiamate “voladores”. Predatori energetici che determinano in noi false personalità, a cui si contrappone lo “splendore della consapevolezza”, che, al solito, si rivela l’unico obiettivo valido e l’unica via d’uscita. Dunque la vera natura dell’essere umano sarebbe quella della felicità.
Per saperne di più, ti invito a ricercare i testi di Castaneda e ad accedere a questo link.
Oggi, in ogni caso, per fortuna, si sta diffondendo la tendenza a ritenere che siamo sempre e senza eccezioni noi stessi la fonte e la causa del nostro dolore.
Ci si sta finalmente responsabilizzando, smettendo di dare la colpa a un qualche dio esterno o alla sfortuna/caso o agli altri. Perché, anche se inconsciamente, siamo noi a sceglierlo – che ciò avvenga, a seconda delle teorie, per attrazione, per causalità, per via delle stesse frequenze vibrazionali di persone ed eventi o perché approdiamo a quel determinato universo parallelo anziché in un altro.
Ciò non va per forza a cozzare contro l’idea di aggregati psichici e parassiti, interni o alieni, ma siamo pur sempre noi a determinare il nostro modo di affrontare le cose.
Davanti allo stesso ostacolo, possiamo reagire in infiniti modi. Solo per fare qualche esempio, possiamo aggirarlo, usarlo per salirvi sopra e vedere più in là, ingoiarlo e farci avvelenare, prenderlo in braccio e far sì che ci porti ad affogare, romperci la testa contro a forza di sbatterla, trovare un elemento che lo sciolga o lo rimpicciolisca, cambiare direzione, ignorarlo, eccetera, eccetera.
Tra le varie, una delle teorie che ritengo più affascinanti è quella che afferma che tutto ciò che noi riteniamo contingente (gli eventi esterni, il mondo che ci circonda, il modo in cui ci trattano le persone) non siano in realtà essi stessi che un prolungamento del nostro inconscio. Ma siccome è inconscio, noi lo identifichiamo con un mondo esterno separato da noi e ce ne sentiamo vittime o soggetti passivi. E qui cadiamo nell’illusione della separazione, a cui hanno dedicato vite intere filosofi, letterati e scienziati fin dai tempi antichi.
Ma torniamo a noi.
ALCUNE IPOTESI
Quello che, per esempio, ci lega a un uomo che non ricambia la quantità di amore che diamo noi, potrebbe risalire a una delusione infantile o un tradimento, vissuti come trauma. Può essere bastato un momento in cui un genitore da cui ci aspettavamo un amore totale ha, nel nostro modo di interpretare le cose, staccato la spina o allentato il flusso di amore e presenza – vuoi per una malattia, per un problema personale o familiare o per una reazione sbagliata che non ha potuto controllare.
Nel caso poi di una malattia prolungata (depressione, esaurimento, assenza per motivi di salute), la cosa si sarebbe poi stratificata nel tempo, diventando, in linguaggio tecnico, “trauma cumulativo”.
Oppure, il genitore per noi predominante è stato verso di noi aggressivo/a, severo/a oppure ancora è passato/a da atteggiamenti affettuosi a freddezza. E il nostro inconscio si è “settato” sul programma: per essere amata devo essere “punita”, oppure trattata con distacco, nel tentativo perenne di riconquistare l’amore perduto di quel modello (il genitore e, da adulte, il compagno).
Da adulti, il nostro inconscio continua a riprodurre il trauma irrisolto (proprio come fanno le “anime in pena”):
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Per vedere di scioglierlo, di risolverlo;
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Perché è l’unico modello che ha avuto e registrato, l’unica dimensione che conosce e che identifica, nel nostro esempio, come “amore”.
Soluzioni? Tra i tanti strumenti che abbiamo a disposizione oggi per risolvere certe storie ricorrenti, vorrei menzionare l’ipnosi, l’arte-terapia, il counseling olistico e apposite visualizzazioni e meditazioni guidate che passano attraverso il sentire e l’ascolto profondo, alla ricerca di dettagli che si possono rivelare preziose vie di uscita.
La soluzione parte sempre da dentro, ed è contenuta nel problema stesso. Con questo non intendo dire che non ci siamo forse imbattute in un “narcisista” o in uno “psicotico” o in un “Peter Pan”, certamente anche i problemi dell’altro sono reali. Ma non è meno reale il motivo per cui noi ci siamo legate a una persona del genere, credendo di farci del bene.
E tu, perché sei o sei stata in una situazione che ti procurava dolore e non te ne sei liberata subito? Perché, addirittura, a volte sei andata a cercarla? Ogni storia, ogni intervento arricchisce anche il nostro stesso vissuto. Per questo, ti ringrazio in anticipo per qualsiasi tuo intervento in questo bosco (blog)!
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Oggi questo articolo casca a pennello.
Mi ritrovo descritta alla perfezione. Un’infanzia difficile con un padre assente ed una madre depressa. Paure inconscie che mi porto dentro, che ho cercato di analizzare ed affrontare negli ultimi 2 anni.
Una relazione sentimentale complicata dove lui non vuole impegnarsi durata 6 mesi e solo ieri ha trovato luce la verità. Verità che non ho voluto accettare x paura di non restare sola. Ma ecco altra paura da affrontare quella del rifiuto.
Prendere consapevolezza di tutto ciò. Lasciare andare ogni rancore, ogni tentativo di conquista, lasciare l’altro libero di non legarsi, prendere la propria sofferenza guardarla in faccia, riconoscerne le cause e provare a cambiare gli effetti, rifiutare di sentirsi vittima, ma protagonista e responsabile della propria vita. Ed ecco che si aprono nuove strade, ecco che ad un tratto ti senti in viaggio, senti che ti stai avvicinando alla tua meta anche se non sai quale sia. Gli attaccamenti si sciolgono, la serenità trova collocazione dentro di te, sembra quasi che il karma sia cambiato, che da adesso in poi quelle paure non mi faranno più soffrire, si sono sciolte, lavate da un temporale estivo, e finalmente mi senti libera.
Cara Michela, sono molto contenta dei tuoi aggiornamenti e ti ringrazio di cuore della partecipazione.
Sì, è proprio come descrivi. Sei sulla strada giusta. Una volta che la paura si dissolve come nebbia ti rendi conto che puoi volare, che puoi cambiare scenari, che puoi realizzarti molto di più e molto oltre, che puoi essere anche altro.
Ti ricordo che offiramo anche servizio di counseling a distanza, se dovessi aver bisogno di una seduta per procedere al meglio:
https://ilboscofemmina.com/consulenza-counseling/ (con una persona che cambia letteralmente la vita, Giulia Pandalissa).
Per il resto, ti mando un abbraccio dal profondo del bosco e spero di avere presto altre tue notizie – a te tutta la luce dell’estate!
Bellissimo
Grazie mille!!! 😀