donne icone

WOMEN THAT ROCK

DONNE CHE “SPACCANO”
Ovvero le icone della forza selvaggia sulla scena musicale

Ho pensato di creare questo articolo per dare un po’ di peso e importanza in più a donne artiste della scena musicale straniera che in qualche modo hanno segnato la mia vita, i miei viaggi e i ricordi di un momento con la loro personalità, la loro tenacia, il loro talento, il loro coraggio di mostrarsi come sono e la loro forza prorompente su un pubblico ogni volta di una diversa nazionalità.

Alcune di loro in Italia non sono mai state conosciute, ma io le ho incontrate lungo il mio percorso, dal vivo o attraverso uno schermo.

Parlo di icone femminili, di giganti che sono riuscite a stagliarsi come dee in mondi patriarcali e particolarmente maschilisti rispetto all’Italia. Dove, se solo una donna restava al di sotto della soglia e non avesse letteralmente sfondato, sarebbe stata definita niente meno che “una poco di buono”.

Donne che sono state sulla cresta dell’onda per dei mezzi secoli alla volta.

Donne che sembra non abbiano avuto paura di nulla.

Donne che sembrano non avere età.

Per personalità così, le leggi del tempo sembrano stupide convenzioni.

C’è troppa vita da vivere, troppe idee e troppe energie per degnare d’attenzione gli ostacoli comuni.

Per queste figure, sembrano divenire illusori.

Donne che, di qua o di là dalla soglia di questa vita (e sento che non fa differenza), ancora emanano energia e forza per tutte le altre.

Eccone tre esempi.

MESSICO E CENTRO-SUD AMERICA

Una è Celia Cruz, la cosiddetta “regina della salsa” che è stata per me un esempio in momenti difficili.

Una forza della natura, con un’energia dirompente sia nella sua musica, sia nella sua presenza durante gli spettacoli dal vivo. Se n’è andata nel 2003, un anno dopo essere entrata nella mia vita attraverso tutti gli altoparlanti dei Caraibi Messicani. E ha segnato intere generazioni, venerata e tuttora molto popolare, in tutto il mondo latinoamericano. Un mondo che, come sappiamo, non brilla per lo spazio concesso alle donne.

Celia Cruz

Ha inciso oltre 75 dischi, di cui 23 dischi d’oro. Nata all’Havana, Cuba, nel 1925. Cresciuta in un quartiere povero, ha iniziato a farsi conoscere a 25 anni, nel 1950, con l’Orchestra Sonora Matancera, dopo avere vinto un concorso musicale importante a soli 15 anni.

L’ambiente salsero in quegli anni era molto attivo, ma il padre la voleva insegnante – mestiere-bene nella Cuba di quei tempi. Celia però lasciò presto quegli studi che intraprendeva solo per obbligo, salvata dalla fama che nell’ambiente musicale continuava a crescere in maniera spontanea.

Fu un insegnante a convincerla del fatto che col suo talento Celia avrebbe dovuto intraprendere la carriera di cantante a tempo pieno.

Quando il regime comunista si impose a Cuba nel 1959, lei e la sua orchestra erano in tour in Messico e decisero di lasciare Cuba per sempre e di trasferirsi negli Stati Uniti. Per questo Fidel Castro proibì con un bando a Celia di tornare nel proprio Paese e iniziò il periodo dell’esilio.

Ancora una volta l’arte e il cuore cozzarono contro gli egoismi di un uomo dall’anima impoverita. L’esilio comunque, dagli anni Sessanta in poi, non fece che aumentare la popolarità e il successo di Celia, unitasi all’orchestra Tito Puente – oltre alla propulsione del suo innegabile talento e la sua forza di vulcano.

Celia Cruz comparve in diversi film, ricevette svariati premi e continuò ad esibirsi in pubblico fino agli anni Novanta.

Se ne andò a 77 anni nel 2003 (l’avevo scoperta appena l’anno prima), lasciandosi dietro la fama di una tra i musicisti più amati nel mondo latinoamericano del Ventesimo secolo. Lo stesso anno, Gloria Estefan e Marc Anthony, con il contributo di numerosi artisti, diedero vita al mega concerto “Azucar!”, in onore dell’indiscussa regina della salsa.

Qui la sua canzone che più di tutte mi tirava su nei momenti difficili di un inserimento in una Paese così lontano da casa mia, con grandi responsabilità lavorative e una lingua da imparare al volo. Carnaval, video con oltre 29 milioni di visualizzazioni.

Ricordi indelebili, lezioni di vita impagabili. Vorrei che questo ritmo e queste parole avessero su tutti l’effetto che hanno su di me. Quello di annullare tutti i pesi e di lasciare solo la gioia di vivere e la leggerezza, come vera natura dell’esistenza.

“Non devi piangere / che la vita è un Carnevale / ed è più bello viver cantando.”

Qui il resto del testo con traduzione.

Informazioni sulla vita di Celia Cruz tratte e parafrasate da qui.

MONTENEGRO ED EX JUGOSLAVIA

La cosa più bella che mi sia capitata in una dura estate di lavoro in Montenegro è stata lei, Josipa Lisac, e le persone che me l’hanno consigliata.

Ho avuto anche la fortuna di vederla dal vivo in concerto in una piazzetta di Kotor, la sera più bella di quell’estate.

Josipa è venerata da tutti i paesi balcanici.

La sua personalità fora gli schermi e la sua presenza sul palco incanta le piazze.

Josipa Lisac

Di origine croata, ha iniziato come vocalist nel gruppo Zlatni Acordi negli anni Sessanta. Ha registrato il suo primo disco da solista nel 1973 (Dnevnik Jedne Ljubavi ossia Il Diario Di Un Amore), riscuotendo un successo inaudito. Album considerato leggendario ancora oggi in Croazia, Bosnia, Serbia, Montenegro. La sua fama di artista pop raggiunse tutta la Jugoslavia nel 1987.

Ciò che spicca è la forza della sua voce, la commistione di pezzi rock e pezzi di folklore locale. Ciò che travolge e che rimane è la sua presenza scenica e la personalità decisamente dominante. Mi rendo conto che nulla di tutto questo può essere trasmesso semplicemente leggendone la biografia. Poiché in Italia non la conosciamo consiglio vivamente di scoprirla. Certo l’ideale sarebbe vederla dal vivo.

Uno stile unico il suo, sia musicalmente sia per quanto riguarda il suo modo stravagante e unico di vestire, all’avanguardia per i tempi in cui aveva iniziato ad esibirsi. 

Qui uno dei suoi pezzi che preferisco, ma consiglio davvero di approfondire la sua conoscenza. Questa si chiama, tradotto, “felicità” (“Sreća”).

Tratto e tradotto da Sreća:

Felicità? La sua guancia accanto alla mia,

una casa fatta apposta per lui …

Molto semplicemente – lui. Vive qui, dentro di me, come il mio battito cardiaco. Non importa cosa accada, lui è mio, con i suoi innumerevoli piccoli difetti.”

EGITTO E MEDIO ORIENTE

In Egitto, poi, mi hanno introdotta alla conoscenza di una donna che nel mondo arabo ha la levatura di una dea. Si tratta di Om Kalthoum, a volte scritto anche Umm Kalthum o Omm Kalsoum e altre varianti a causa della traslitterazione dell’arabo.

Una leggenda.

Per lei, si aprivano tregue in una guerra.

Per un suo concerto, il mondo mediorientale si fermava completamente, qualunque cosa stesse succedendo a livello pubblico e privato in quel momento.

Invitata dal Re, dal Presidente, acclamata da diplomatici e da tutti i cittadini uomini di un mondo così prettamente patriarcale e maschile.

Om Kalthoum

Questa cantante egiziana è stata attiva tra il 1920 e il 1970. Nata in una cittadina nel Delta del Nilo, la sua data di nascita non fu mai registrata né confermata. Ma lei si alzò da terra per raggiungere le stelle contro qualunque previsione o ostacolo.

Subito dopo la rivoluzione, la corporazione dei musicisti egiziani di cui divenne membra (e infine presidente) la respinse perché aveva cantato per l’allora deposto Re Farouk d’Egitto. Quando il Presidente Nasser scoprì che le sue canzoni erano proibite alla radio, disse qualcosa del tipo: “Cosa sono, pazzi? Vogliono che l’Egitto si rivolti contro di noi?” Questo racconta la pagina in inglese dedicata a lei su Wikipedia. Cantò poi anche per l’esercito, in generale si presentò sempre come una grande patriota.

Le sue canzoni parlano d’amore e durano ore più che minuti. Un suo concerto durava due o tre ore e si componeva di due o tre canzoni. Ma la durata dei pezzi musicali non era stabilita a priori e dipendeva dalla serata e dall’emotività del pubblico di quel singolo contesto. Om Kalthoum utilizzava una tecnica d’improvvisazione, tipica del vecchio canto arabo classico, per tutto il tempo che poteva.

Sia l’avanzare dell’età che l’accresciuta occidentalizzazione della musica araba diventarono un impedimento per quest’arte. Si trattava di ripetere un singolo verso o un brano più e più volte, modificando sottilmente l’enfasi e l’intensità emotiva ed esplorando varie scale modali musicali, ogni volta per portare il suo pubblico in uno stato euforico ed estatico conosciuto in arabo come “tarab”.

Posso testimoniare che ancora oggi, a generazioni di distanza, gli egiziani quando la ascoltano vanno in estasi. Cantano i suoi pezzi a memoria (piuttosto languidi e tragici alle nostre orecchie) e dal loro stato quasi ipnotico puoi dedurre che con la musica di questa dea loro entrano in una dimensione estatica che, se non la comprendi, ti è decisamente preclusa.

Immagino che tutte le infanzie di tutti gli egiziani, da un secolo fa ad oggi, siano impregnate della voce e dei testi della grandissima e irraggiungibile artista Om Kalthoum, “stella dell’oriente”.

E a te è capitato, viaggiando, di scoprire altre grandi donne artiste non note da noi, nel panorama musicale di altri paesi? Condividile qui sotto! 


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