dal sacro Femminile

LETTERA AGLI UOMINI

DAL FEMMINILE SACRO ALLA SOCIETA’ DEGLI UOMINI

Sono una donna: la vita non la costruisco passando da un programma all’altro, da un ordine del giorno all’altro, avanzando lungo una linea.

La vita la creo facendomi penetrare da ciò che arriva e rielaborandolo, restituendolo nuovo (uomini, persone, libri, mestieri, incontri, panorami, dialoghi, viaggi, sapori, canzoni…. Tutto).

Sono una donna: non posso rispettare una routine di giorni tutti uguali, del cartellino da timbrare sempre alla stessa ora, di una prassi meccanica: io non posso comportarmi allo stesso modo che sia luna piena o luna nuova, che sia estate, autunno, inverno o primavera. Che piova o che ci sia il sole. Che io sia nei giorni del sangue oppure no.

A seconda di questi e di mille altri aspetti biologici, planetari e stellari, io sarò diversa ed emanerò cose diverse e di conseguenza creerò, risolverò, produrrò e organizzerò cose diverse e in modalità differenti.

Sono una donna: se mi costringi ad andare a letto a una certa ora, ad alzarmi a una certa ora, a uscire di casa a una certa ora, senza tenere conto di come mi sento nel mio corpo e di cosa si muove nel mio cuore in quel momento, esco dall’onda sacra che dovrei seguire e cavalcare per creare qualcosa di eccellente.

Sono una donna: se soffro per il buio, per la nebbia, per il freddo e sento malinconia ogni giorno all’ora del crepuscolo, non sono depressa, non sono strana, non sono una strega, non sono meteoropatica: sono sana, sono accesa, funziono bene.

dal sacro Femminile
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Sono una donna: non devo giustificare e spiegare per cosa piango ogni volta che piango, perché a volte è lacerazione, a volte è liberazione e sollievo, a volte è gratitudine, a volte è commozione, a volte è gioia pura, a volte è una delle mille miscelazioni tra queste ed altre cose e la società degli uomini non ha ancora creato tutti i vocaboli che possano nominarle.

Sono una donna: se voglio crearmi un’attività che mi gratifichi, non lo faccio per competere con te, uomo, non per dimostrarti che posso fare meglio, non per comunicarti che non basti, non per rubarti il posto con cui ti identifichi da quando è stato creato il tuo DNA di sostenitore e fornitore di forza, rifugio e materie prime.

Lo faccio per realizzare un sogno creativo, lo faccio per sentire che ho una missione per il mondo che non sia solo quella di essere madre biologica, lo faccio per mettere la creatività del mio utero al servizio, lo faccio per realizzare realtà nuove e per realizzarmi.

Sono una donna: non posso sopportare la pressione di una maschera fissa tutti i giorni dell’anno, a scuola o in azienda. Ho bisogno di mille maschere e mille vestiti e mille colori diversi da indossare sulla pelle a seconda delle mie trasformazioni, e chi indossa una maschera fissa non potrà mai tradurmi. Per questo per secoli rimango un codice indecifrato.

Sono una donna: non posso sopportare la pressione del dover produrre per forza quella misura di cose o di servizi in quel tempo prefissato. La mia misura cambia in maniera ciclica e ondulare. Gli abbassamenti e gli innalzamenti, i crolli e i voli del mio incedere si compenseranno del tutto alla fine di un anno del calendario maschile (gregoriano), ma non possono essere continui, non possono essere rigidi, non possono essere programmati, non possono essere misurati, o io mi deprimo, o mi spengo, o mi ammalo. In tutti i casi, non potrò rendere ciò che avrei reso seguendo i miei ritmi – che la società attuale definisce come “illogici” o “indisciplinati”, mentre per me sono solo “giusti”.

Sono una donna: sono ricettiva. Per questo devo stare in ascolto e con tutti i miei canali aperti per individuare cosa sta arrivando, e quando arriva, e se suona bene e allora, sì, farmi penetrare completamente da quell’ispirazione, da quell’esperienza, da quella frase, da quella visione, da quella idea per poi passarla alla gestazione e partorirla centuplicata.

Per questo non posso seguire i ritmi di questa società. Per questo non posso correre per tutto il tempo. Per questo non posso “rendere conto”. Perderei l’ascolto. Essenziale al mio scopo nel mondo. Metterei in prigione il mio intuito, spegnerei le antenne, disconnetterei il cuore. Ed è da questi e altri simili atti che nascono i tumori alle ovaie, i tumori all’utero, i tumori al seno.

Sono una donna: devo sempre avere un piede nella ragione e uno nell’inconscio. Un ovaio nell’ordine e uno nel disordine creativo. Un seno nella chiarezza e un seno nei misteri del buio. Un occhio al sole dell’uomo e un occhio alla mia luna. O mi seccherei come si seccherebbe una pianta senz’acqua.

Sono una donna: ricerco comunità, collaborazione, scambio alla pari, unione, relazione. Questa società non mi rappresenta ancora, quasi per nulla. Non ci sono ancora spazi fatti nel modo che ho descritto, nelle aziende, nelle istituzioni, nelle visioni dei politici, né nelle unità abitative di oggi.

Se nella storia ho attraversato fasi nere, bollate coi seguenti appellativi dalla società che non riusciva a tradurmi: strega, eretica, isterica, folle, ninfomane, matrigna, bipolare, bigotta, vittima, bacchettona, depressa e tanto altro, non è stato perché io fossi realmente queste cose, queste maschere di Carnevale, bensì è stato perché nessuno mi ha aiutata a costruire il letto per il fiume che scorre fuori da me e che nessuna legge umana potrà annullare – pena la malattia, mia e dell’ambiente in cui vivo.

A questo mi servono l’aiuto e la protezione del Maschile sacro.

Non perché io non sia in grado di “salvarmi da sola” in quanto essere consapevole, cosa che ho dimostrato di potere fare da tanto, forse da sempre.

Ma perché senza le manifestazioni proprie del Maschile risanato ci limiteremmo a “salvarci da soli”, separati.

Quando tutto quello che le persone desiderano è un abbraccio vero, una relazione di amore profondo, uno scambio intimo di calore, di piacere, di competenze e percezioni e una sessualità in cui i due mondi che abbiamo visto salvarsi da soli si compenetrino.

Dal Femminile sacro alla società degli uomini. Non badate a ciò che le donne sembrano nascondere tra le righe quando si difendono dal male assurdo e reale che hanno dovuto vedere e patire. La traduzione è sempre: noi desideriamo con ardore di vedere il Maschile sacro in azione. Lo adoriamo, lo rispettiamo, lo ricerchiamo, lo chiamiamo a gran voce, lo vogliamo e siamo pronte a riceverlo.

Sei riuscito a svegliare la bella addormentata nel bosco con un bacio. Ora svegliati tu dall’incanto della strega della morte e raddrizza la nostra nave verso la vita – quella di tutti.

Emergi, ergiti, alzati e cammina.

Riprendi il controllo dell’arca.

Abbiamo bisogno di Te e Tu hai bisogno di noi.

Grazie, che Tu sia benedetto.


IL NUOVO LIBRO di SONIA SERRAVALLI: IL MASCHILE SACRO

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Per aiutarti: ARMONIZZAZIONE DELL’ANIMA

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6 Commenti

  1. Complimenti!
    Il tuo ragionamento, oltre ad essere vero e intelligente, è coraggioso in un’epoca come la nostra in cui il concetto idealistico di “uguaglianza” si confonde con quello di “parità” … e la mancanza di conoscenza o distorta conoscenza dell’altro/altra divengono base e giustificazione di stereotipie di ruolo, aggressività, molestie …
    Scrivi: “Abbiamo bisogno di te e tu hai bisogno di noi” …: se ciascuno di noi lo ricordasse sempre, vivremmo certamente in un mondo migliore.

    1. Grazie Pino, il problema è che ogni concetto alto, come ad esempio “Abbiamo bisogno di te e tu hai bisogno di noi”, può essere vitale oppure travisato e distruttivo, come è stato per tanto tempo 🙂
      Poi si è tanto “sbabarato” di indipendenza personale, ma ci ha portati solo a depressione e individualismo.
      Ora credo solo nell’INTERdipendenza – che è anche la base della vita.

      La differenza è enorme ma il confine semantico sottile, forse richiede sempre un percorso. Grazie per aver capito!

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