KERNUNNOS – IL DIO DEL MASCHILE
DIO TRASFORMATO IN DIAVOLO
Kernunnos (o Cernunnos) è il dio cornuto della mitologia celtica, uno dei più antichi, potente simbolo della mascolinità, della fertilità, della sessualità, della possanza, della natura incontaminata e del controllo della natura tramite la sua connessione e L’OBBEDIENZA ad essa (un concetto molto diverso dal controllo esercitato dall’uomo moderno).
È collegato agli animali maschi, in particolare al cervo.
Le raffigurazioni di Kernunnos si trovano in molte parti delle isole britanniche e dell’Europa occidentale.
Con le sue possenti corna, Kernunnos è un protettore e custode della foresta e della sua frenetica vitalità. È anche un dio della vegetazione e degli alberi.
Impersonato da Pan, il satiro greco, ad altre latitudini (gli archetipi sono universali).
In alcune tradizioni, è visto anche come un dio della morte (in quanto facente parte della natura e dei suoi cicli – che, come vedremo nell’articolo successivo, sono anche maschili – anche se diversi da quelli femminili).
Purtroppo, Cernunnos è stato preso di mira dalla Chiesa, assieme a tanti altri simboli pagani e alle loro festività, fino a trasformarlo semplicemente in colui che conosciamo come Diavolo o Satana. Vi torna familiare ora il personaggio con la coda e le corna?
La perdita, in termini psicologici e antropologici, dovuta a tale deformazione, tutta ricaduta sull’energia maschile nel mondo e negli uomini, è stata enorme e ne subiamo lo scotto ancora oggi.
E pensare che perfino le “corna” sono diventate oggetto di dileggio, quando in realtà hanno sempre rappresentato la potenza del cervo in amore, dell’energia sessuale e dei cicli della natura (le corna che crescono, che cadono e poi ricrescono ogni anno con il ruotare delle stagioni). Il tutto è stato voluto: questa energia (la più potente e sacra per eccellenza) andava sotterrata, ingabbiata, negata – tutto ciò che sta all’origine di tantissime nevrosi.
Seguono su Kernunnos brani tratti dal libro di Claudio Risé “IL MASCHIO SELVATICO”
“L’incontro con Kernunnos rappresenta l’incontro con l’uomo selvatico, il quale è sì un uomo, ma possiede anche, come i tratti del suo volto rivelano, gli istinti più sviluppati delle varie specie animali. […] Questa commistione tra essenza umana e aspetto animalesco conferisce all’uomo selvatico il suo carattere “perturbante”.
Perturbante è “ciò che non è come dovrebbe essere”, perché è anche qualcos’altro, “che non dovrebbe”. Ed è proprio questo qualcosa d’altro che consente alle immagini perturbanti di fare da ponte verso l’altro mondo, il mondo diverso dal nostro abituale.”
“E’ proprio il suo essere insieme uomo e animale a risvegliare il turbato mondo dell’inconscio e a consentire che gli aspetti animaleschi dell’uomo, di solito cacciati dalla coscienza, si rivelino.”
“Il personaggio seduto nella terra nera mossa dagli zoccoli dei tori è raffigurato in centinaia di immagini della cultura celtica. E a volte ancora oggi compare nei sogni o nelle immagini di persone che non sanno nulla di lui.
È infatti un archetipo, una figura da sempre presente nell’inconscio collettivo dove rappresenta un “guardiano della soglia”, custode del passaggio tra vita quotidiana e mondo selvatico.”
È qualcosa di “numinoso”, ossia “ciò che l’essere umano avverte come potenza sovrumana, divina, stupefacente. È un’energia dinamica non originata dalla volontà, che afferra e domina il soggetto umano.”
“Nella sua orribile stranezza questo essere, appoggiato alla mazza, simbolo del fallo primordiale, in mezzo ai tori selvatici, forza generatrice maschile brada e caotica…. [… ]. La sua comparsa metteva l’uomo che lo scorgeva in contatto con l’energia del mondo naturale, dei riti e dei misteri della natura generatrice di vita e fonte di morte.”
“E’ appunto una figura archetipica custode della soglia di questa zona della psiche maschile. Un dio selvatico.
Appoggiato con la sua mazza sulla terra aperta, dissodata, ma non coltivata né vegetante; una terra che nella sua nerezza contiene in sé ancora tutte le sue potenzialità. Il cavaliere Ivano viene invece dalla corte: una terra, una realtà ipercoltivata, che ha già dato tutto ciò che poteva dare, tanto che lui l’ha lasciata per trovare altro. Là il mondo della cultura fino all’esaurimento, qui il mondo della pura potenzialità.
I tori si scontrano sulla terra aperta: ancora non si sa chi prevarrà per fecondarla. Osserva la scena un altro fecondatore, cornuto come i tori. Questo però è un dio, immobile nella riflessione sul carattere sacro della realtà, non agitato scompostamente dalle pulsioni in conflitto.
Gli uomini della corte di Artù, quando si cimentano con questa prova, vengono “presi” dall’aspetto numinoso del dio selvatico. E tuttavia cercano di resistergli, provandosi a limitare l’energia, incasellandolo nelle tradizionali categorie della conoscenza.”
“Stupefatto e terrorizzato di fronte al selvatico che lo fissa “senza dir parola”, il cavaliere comincia subito a porre allo strano individuo la questione discriminante di ogni incontro nella civiltà della morale cristiana: Dimmi dunque se sei, o no, una buona creatura. […]
Il selvatico, che appartiene a un’altra mitologia, assai più cauta nel distinguere tra “buono” e “cattivo”, semplicemente risponde: Sono un uomo.”
(Seguirà presto secondo articolo su Kernunnos)
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