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IL DIVORZIO TRA UOMO E NATURA

IL SABOTAGGIO DI NATURA E CORPO

Da quando l’uomo ha preferito il legno morto della croce agli alberi vivi dei boschi

Mi rifaccio qui al mio articolo sul disboscamento religioso per condividere con voi la conclusione dello splendido libro di Jacques Brosse, MITOLOGIA DEGLI ALBERI, che include anche un brano molto forte dell’antropologo e filosofo francese Claude Lévi-Strauss – che cito qui sotto.

Lo scopo di questa condivisione non è quello di alimentare rabbia o pessimismo, ma di aumentare la consapevolezza e portarci a tornare alla nostra vera fonte e al nostro nutrimento in un contatto equilibrato e lucido con Madre Terra.

L’uomo si è separato dalla natura nel momento in cui ha iniziato a demonizzarla, sia all’esterno che nel proprio corpo. Da quel momento, si è perso.

(Qui uno splendido articolo sul lavoro di Lévi-Strauss)

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foresta
Photo by Photo-Poetry Sonia Serravalli

“Fu così che dopo il trionfo della Chiesa rimase un solo albero che fosse lecito venerare: quello, squadrato, sul quale era morto il Redentore. Tutti gli altri culti erano vietati e abbiamo visto con quale zelo gli evangelizzatori si accinsero ad estirparli.

A un sistema cosmico complesso e articolato, basato sulla diversità, sulla reciproca complementarità, qual era stato quello del “paganesimo”, successe un monoteismo dogmatico, intollerante e manicheo. In nome della distinzione tra Bene e Male, e per reazione contro l’antico stato d’animo, l’anima venne separata dal corpo e l’uomo dalla natura.

Poiché l’anima apparteneva di diritto a Dio, sia la natura che il corpo risultarono necessariamente riprovati.

Dato che inducevano in tentazione, non potevano essere che strumenti del diavolo, l’antico Serpente dell’albero della conoscenza, responsabile dell’espulsione dall’Eden.

Claude Lévi-Strauss ha definito con mirabile penetrazione questa posizione che è ancora, spesso senza che ce ne rendiamo conto, la nostra:

“Malgrado le nuvole d’inchiostro sollevate dalla tradizione ebraico-cristiana per mascherarla, nessuna situazione mi pare più tragica, più offensiva per il cuore e per l’intelligenza, di quella di un’umanità che coesiste con altre specie viventi su una terra di cui queste ultime condividono l’usufrutto e con le quali non può comunicare.

Si comprende come i miti rifiutino di considerare questo vizio della creazione come originale/originario; che essi vedano nella sua comparsa l’evento inaugurale della condizione umana e della sua debolezza.

In questo modo, infatti, venne a essere rotto un equilibrio vitale, basato sulla comunione di tutti gli esseri viventi. Di questa rottura noi subiamo ancora oggi le estreme conseguenze.

Da aperta che era un tempo, l’umanità si è sempre più rinchiusa in se stessa. Tale antropocentrismo non riesce più a vedere, al di fuori dell’uomo, altro che oggetti. La natura nel suo complesso ne risulta sminuita. Un tempo, in lei tutto era un segno, la natura stessa aveva un significato che ognuno, nel suo intimo, percepiva.

Avendolo perso, l’uomo oggi la distrugge, e con ciò si condanna.”

uomo e natura


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