DIO FUNZIONA SE FUNZIONI TU
RISVEGLIA IL TUO
Dio funziona solo se funzioni tu
“Significa che le cose non ti capitano mai per far sì che tu poi possa credere in te stess*.
Il processo è esattamente il contrario: solo appena tu inizi ad amarti e a credere nella tua stessa divinità, sostenuta nelle sfere superiori da quell’entità chiamata genericamente “Dio”, i miracoli iniziano a verificarsi.
Ma non lo faranno mai per darti conferme. Lo fanno quando tu già ti sei mess* all’opera nella stessa direzione di Dio e in una collaborazione con “Lui” li realizzi, li fai avvenire. Non quando ancora dubiti. Non quando ancora pretendi che le cose belle avvengano solo per darti una certezza; per rispondere a una tua domanda o per riempire il tuo quadro personale di quel tassello che mancava.
Dio funziona solo se e quando inizi a funzionare tu. In cooperazione tra l’alto e il basso.
Non è complesso: in realtà è estremamente semplice. Funziona esattamente così! E questa è la prima cosa da sapere.
Poi, per andare più nel dettaglio, c’è Dio e Dio.
(Doveroso premettere che quando parlo per comodità di “Dio” intendo ovviamente “Dio/Dea“, il principio di Perfezione all’origine di tutto, in qualunque accezione lo si intenda. E no, non sento nessunissimo imbarazzo nello scrivere un articolo sul tema più alto di tutti i tempi – sinceramente lo faccio con il cuore perché ho raggiunto il punto di dubbi-zero).
Il Dio da cui proveniamo e il Dio delle religioni degli uomini
La gratitudine
L’energia divina da cui siamo stati originati meriterebbe una gratitudine infinita e costante come esercizio quotidiano. Ma vi sono alcune differenze riguardo a questo tra l’approccio spirituale e originario e quello delle religioni.
Le religioni sono state create dalle caste di uomini potenti con la pretesa di mediare tra noi e Dio allo scopo di controllarci. In questo contesto, la gratitudine dovuta alla divinità è divenuta “obbligo”.
Nella realtà delle cose, un’interruzione di questo naturale senso di gratitudine (basti pensare alla gioia di tanti animali al loro risveglio ogni mattina) porta ad un’interruzione del flusso energetico che ci tiene connessi alla “fonte” e che è dunque quello che ci permette di ricevere ciò di cui abbiamo bisogno per andare avanti.
La gratitudine è una dinamo di energia che si autonutre nel suo circolo perfetto e interromperla porta – per motivi molto più fisici di quanto non si creda – a ritrovarsi sbalzati fuori da questo naturale equilibrio di flusso e dunque a ritrovarsi “carenti” – nelle condizioni che conosciamo come dolore, insufficienza, malattia, solitudine, eccetera. (Paradossale pensarlo, ma è uno stato in cui la maggior parte dell’umanità e degli esseri che con essa hanno a che fare è stato proiettato da un tempo che a noi pare quasi infinito).
Secondo la visione delle religioni, invece, una inadempienza all'”obbligo” della gratitudine porta ad un allontanamento da Dio, conseguente in una qualche forma di punizione o di stato peccaminoso da espiare affinché non si accumuli ad altri problemi o peccati.
Più o meno questo stesso schemino viene riprodotto, con questa doppia differenza di approccio, in tante situazioni.
Flusso/retta via VERSUS interruzione di flusso/peccato
Secondo la realtà delle cose e una sana spiritualità, l’adesione al flusso sacro e naturale delle cose non è né un diritto né un dovere: è semplicemente l’unico modo per rimanere nell’abbondanza, per noi stessi e per gli altri.
E’ l’unico modo in cui possiamo permettere a Dio di agire, in caso contrario c’è una interruzione che non ci permette la connessione e dunque di vivere e operare sulla stessa linea dell’amore e attraverso di Esso qui, nella vita terrena, in cui siamo noi stessi rami o braccia di Dio.
La divinità può manifestarsi qui solo attraverso di noi. Se noi stacchiamo il collegamento, sono guai per noi e per l’ecosistema che ci ospita. Ma non perché si tratti di una punizione o di un errore (tradotto dalle religioni come “peccato”), ma semplicemente perchè la legge fisica e metafisica che vige in questa terza dimensione è questa e ci è sempre stato detto, in tutte le lingue e attraverso tutte le scuole di pensiero.
Quale pazzo desidererebbe per sé e per gli altri penuria, malattia, squilibrio? Eppure, noi siamo riusciti ad ottenere questo, uscendo da un circolo virtuoso naturale e spontaneo da più parti, in tantissime occasioni e con le più svariate motivazioni logico-razionali che tagliavano fuori spirito e cuore: Dio.
Le stesse figure che noi ritenevamo nostre “guide”, perché abbiamo loro attribuito questo potere, ci hanno portato a questa visione distorta.
I poteri egoistici hanno diffuso una percezione deformata del flusso: l’hanno chiamata “retta via” e laddove vi era un fluire libero di dare-e-avere in Dio e nell’amore hanno costruito una gabbia, una catena pesante di regole interessate, restrittive, scritte a tavolino, settarie e spesso maschiliste.
La preghiera
Esiste un Dio che vuole che tu reciti a memoria cose chiamate “rosario” e preghiere istituzionali, per secoli mandate a memoria in una lingua morta e poi tradotte male in un linguaggio altrettanto oscuro perché superato oppure vuoto. Un Dio che solo in questo modo meccanico e forzato si metterebbe in contatto con te – con la postilla costante e sottintesa che se non lo fai, se non lo pratichi, sei in fallo, sei in debito.
Poi, esiste un Dio con cui sei in contatto sempre e ovunque, senza interruzione, per il quale non servono mezzi né ministri né ponti né traduzioni, perché Lui è Te e Tu sei Lui. Per questo Dio, la preghiera non è un momento di ritiro per “telefonargli” e poi tornare a staccarsene. Per questo Dio, la preghiera è infinita ed è la tua vita stessa, la tua personale ed esclusiva musica. Quella che ti porti dentro con la tua essenza.
Per questo Dio, i mantra bitonali, le antiche nenie e ninnenanne e le vocalizzazioni libere hanno sempre rivestito una preferenza particolare, perché in grado di toccare blocchi energetici di noi e mantenerli morbidi e sciolti, per continuare a farci vibrare e nuotare liquidi nel suo fiume, in costante e perenne contatto con Lui e con quello che – da dentro lo stesso fiume – avremmo sempre sentito giusto fare, senza dubbio alcuno.
L’identità di Dio
Esiste un Dio antropomorfo, scontatamente maschio, spesso severo, punitivo, con idee e desideri come se Egli non fosse Tutto.
Poi, esiste un Dio che pervade ogni cosa, che è l’anelito della roccia e del mare, il riflesso chimico condizionato di una pianta prima che le si faccia violenza o la si abbracci, che è lo spettro dei colori e le combinazioni chimiche conosciute e ancora sconosciute e tutte le note musicali esistenti e quelle ancora da creare. Un Dio che in nessun modo potrebbe essere rappresentato se non per tentativi e pezzetti. Un Dio che è Dio/Dea e infinite altre sfaccettature attorno al dualismo creato in questo mondo, per cui ancora non esiste una lingua.
La felicità
Secondo le religioni generalmente questa è una vita di dolore e di sacrifici (“valle di lacrime”) al fine di raggiungere la “vera felicità” soltanto dopo la morte, nell’aldilà.
Secondo le correnti spirituali e la religione naturale, più noi siamo felici nel presente e in questa vita e più possiamo dare agli altri e rendere felice chi ci circonda. E per arrivare a questo, dobbiamo fin dai nostri primi anni essere guidati ad amare noi stessi con devozione, a conoscere noi stessi e ad amare e rispettare il percorso del prossimo.
Ovvio che il nostro ambiente originario è quello dello spirito e che dunque si può aspirare ad uno stato di beatitudine in perfetta comunione con Dio una volta lasciato il corpo, o tra una vita terrena e l’altra. Ma i diversi gradi di illuminazione e di estasi sono raggiungibili anche dall’estremità terrena di Dio (noi) attraverso un lungo lavoro sulla resa al flusso, sull’abbandono degli attaccamenti, sull’amore in senso lato (incondizionato) e sull’esercizio delle nostre antenne (divine).
Per non parlare degli stadi raggiungibili, sempre attraverso un percorso, con l’arte e con la sessualità.
Natura, arte e sessualità
Non è affatto un caso che gli strumenti di massimo avvicinamento a Dio siano stati insabbiati e infangati in tutti i modi.
I boschi sacri disboscati e sostituiti con simboli del potere quali chiese e santuari; l’arte censurata e tenuta a bada da tante religioni e relegata in un angolo come “peccaminosa” (il ballo, l’arte visiva – vedi i mormoni e i musulmani, per esempio) e la sessualità completamente rovinata fino alla sua trasformazione in qualcosa di disumano quale pedofilia e pornografia, l’opposto della sua natura originaria e divina quando connessa alla “Fonte”.
C’è chi sostiene che ciò sia stato fatto a tavolino, perchè chi deteneva e detiene il potere ha sempre ritenuto strategia fondamentale il porsi tra le persone e la loro stessa insita divinità, riaccendibile a scelta attraverso questi tre preziosi strumenti (natura, forme artistiche e creative e sessualità). E chi invece ritiene che quel che doveva avvenire è avvenuto, che tutto sia giusto così e che forse l’essere umano non era ancora maturo abbastanza per maneggiare questi strumenti. E che forse solo di recente, con il lento crollo delle religioni, si stia avviando sulla strada del proprio risveglio in Dio, quello assoluto, quello esterno ed interno a se stesso.
Sia come sia, resta che non è un caso che i tre canali fondamentali per un ritorno alla congiunzione con la luce, con la “mente” sovrastante, con il divino nel cosmo e in tutte le cose, siano stati bloccati e mutilati in tutti i modi dalle grandi culture di massa e sistematicamente censurati, svergognati e puniti, sia per tutti noi sia laddove si ritrovavano ancora nelle culture tribali, così come nelle culture che via via i nostri coloni incontravano per il mondo, ancora (col)legate al senso del divino nella natura e nell’armonia di tutte le cose.
Amore
Esiste dunque un Dio che, a detta degli uomini, regolerebbe l’amore in un senso unico e stretto, attraverso una gerarchia di maschile e femminile e addirittura attraverso una gerarchia tra specie diverse. Un Dio che non crede nell’amore vero se privato di un contratto umano che è stato definito come “matrimonio”. Un Dio che teme la sessualità perché – dopo averla creata – non riuscirebbe più a gestirla nonostante la sua onnipotenza.
Che la vuole relegata al puro compito della procreazione – l’energia più sacra e potente della natura in Terra costretta a manifestarsi in un’unica cosa, quando se lasciata libera è in grado di creare interi mondi e dimensioni parallele senza confine né limite. Un Dio geloso che assegna persone a persone come fossero oggetto di compra-vendita, e ne definisce ruoli immutabili, e lascia fuori, come se se lo fosse scordato, l’elemento fondante della vita stessa che Lui ha creato. Il flusso, l’eterna mutevolezza delle cose.
Poi, esiste un Dio che ci insegna con l’esempio della natura che la sessualità è lo strumento sommo per il riequilibrio delle energie maschile e femminile dentro e fuori di noi. Che lo scambio di energia sessuale è il canale sommo per l’espressione di un amore che in questo frangente rende manifesta anche ai più dubbiosi la sua natura ultraterrena.
Un Dio che ci può trasmettere senza nessuna difficoltà né ostacolo che l’amore non lo ingabbi, che amore genera amore, che da questo gioco di miracoli ultraterreni nessuno potrà mai uscire perdente.
Un Dio che non limita le persone nel loro amore, ma che al contrario promuove l’accelerazione della dinamo di luce e calore. Perché Lui stesso possa funzionare. Perché senza quel nostro modo di amare divino, il filo del palloncino si stacca e Lui si perderebbe nell’universo.
Non è solo l’uomo ad essere un angelo che cade.
A un angelo caduto corrisponde sempre un Dio alla deriva.”
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