COSA FARE DEL CORPO?
LA NOSTRA CONCEZIONE DEL CORPO
Da un brano del frate “rivoluzionario” Richard Rohr.
Contatto umano, comunione fisica, tabù occidentali e il trend anaffettivo che ci sta spegnendo.
Spero abbiate la pazienza di leggerlo fino alla fine.
“Di tutte le religioni mondiali, il Cristianesimo è la più prevenuta nei confronti del corpo. È una teologia disastrosa. Se fossi Satana e volessi distruggere il Cristianesimo, farei gli straordinari per tentare i cristiani a odiare la carne. Perché la nostra è l’unica religione che crede che Dio si è fatto carne. Non è paradossale?” (N.d.R. in realtà nell’Induismo tanti dei sono stati uomini – es. Krishna)
“Gesù ha assunto un corpo. È un fatto straordinario, quello di credere che Dio sia penetrato in questo mondo. Eppure, viaggiando per tutta la terra e osservando ogni tipo di religione, ho rilevato che noi abbiamo l’atteggiamento più negativo in assoluto nei confronti del corpo.
Il nostro corpo ha su di sé un enorme carico di vergogna e senso di colpa per il solo fatto di essere corpo. Forse non è così straordinario, è il modo attraverso il quale il male si cela. Ribalta il bene.
Nel nostro Credo lo affermiamo coraggiosamente: Crediamo nella resurrezione della carne. Dunque, qualsiasi cosa faccia Dio, non lo fa solo nello spirito. Salva questa cosa, questo composto – l’unico “io” che sia io che voi conosciamo. In questo modo Dio libera anche il corpo. E qualsiasi cosa avvenga in eterno, questo corpo ne farà parte.
Ci viene ricordato anche nell’Eucarestia. Quando mettiamo in bocca il pane, non diciamo “Spirito di Cristo”, ma “Corpo di Cristo”.
(Articolo sull’energia cristica qui)
Il simbolo può diventare reale, quasi a livello cannibalistico. Assumere il corpo dentro di sé. Siamo una religione incarnata, e ci vergogniamo del corpo terribilmente, oltre ad averne, a volte, anche paura.
Penso che ne abbiamo paura perché è coinvolto troppo potere, e anche troppa verità. Il corpo non mente mai. Possiamo dire ogni tipo di bugie con la bocca, ma il corpo dice la verità.
È la realtà non-verbale a tradirci. Il corpo porta in sé la verità di ciò che io definisco la storia del contatto. Il nostro corpo porta in sé il senso di colpa, di vergogna, d’inferiorità.
Il nostro corpo porta in sé il dolore di tutti i rifiuti subiti. Porta in sé tutti i tradimenti, gli abusi – verbali, emotivi, sessuali.
Noi uomini corriamo il rischio di perdere il contatto con tutto questo, sembra, molto più delle donne. La donna è forzata ad accettare il corpo attraverso le mestruazioni ed il parto. In qualche modo, le donne comprendono la teologia somatica, corporea. Possono riconoscere che il corpo dice la verità.
Noi uomini non lo capiamo. Siamo scollegati da questo fatto. Il padre può impiantare il seme e andarsene, letteralmente. Non vive la crescita organica e non vede uscire dal corpo il miracolo. Siamo indietro, nella comprensione del corpo.
Un altro fattore di complicazione che ci debilita è il legame tra il contatto fisico e il sesso. Non so come mai siamo finiti in questa trappola. Abbiamo paura di toccare, di muoverci in una direzione di comunione concreta.
Gesù sembrava essere consapevole di questo e ansioso di fare qualcosa al proposito. Gran parte del suo insegnamento comportava il contatto fisico con le persone.
Non è mai stato, il suo, un’asettica proclamazione della parola. Ha sempre combinato la parola con l’imposizione delle mani, per esempio. Quella che cercava era la comunione fisica con la persona.
Ha incoraggiato la donna a lavargli i piedi. Una settimana più tardi, ha fatto lo stesso con i suoi dodici fratelli. E nella stessa ultima cena, appariva assolutamente a suo agio con la testa di Giovanni appoggiata sul suo petto.
Una delle indicazioni più inequivocabili di quanto sia diventata omofobica e innaturale la nostra cultura è il fatto che la maggior parte di noi non riuscirebbe a immaginare, in un gruppo di uomini, uno che appoggi la testa sul petto di un altro uomo.
Il contatto fisico significa sesso per noi, ecco tutto. Non sappiamo tenerci per mano, non sappiamo come collegarci, non sappiamo come godere di tutti questi livelli di comunione umana. Non riusciamo a godere dell’intimità umana del contatto senza che questa porti all’orgasmo. Per noi è solo qualcosa di pauroso. […]
(N.d.R. Ho dovuto impiegarci un sacco di tempo per trovare immagini non protette da copyright che raffigurassero un abbraccio che non fosse tra un uomo e una donna, per poi trovare solo o bambini o statue. Visto che ci consideriamo tanto evoluti, emancipati e avanzati, ritengo questo un fatto gravissimo e sotto gli occhi di tutti, ma sono quasi tutti ciechi e ormai desensibilizzati)
Una volta trascorsi diversi giorni nelle Filippine con un giovane francescano filippino che a un bel momento mi disse: “Qualche volta mi chiedo perché sono diventato francescano.” Eravamo molto più liberi prima che arrivaste voi cristiani, sosteneva.
“Spero che la cosa non ti provochi uno shock, ma quando un ragazzino filippino riesce per la prima volta a produrre il suo seme, non viene associato alcun senso di vergogna a questo avvenimento. La prima masturbazione è un momento di gloria e di successo.
So che non lo capirai – disse il francescano filippino – ma io sono corso nel cortile della scuola con il seme in mano. Tutti i miei compagni si sono raccolti intorno a me e io ho esclamato: “Ho il seme, ho il seme!” Tutti i ragazzini lo stavano guardando, e questo fatto significava che ero diventato uomo. Ora, perché questo dovrebbe essere brutto o dispiacere a Dio?
A un tratto si avvicinò un vecchio francescano e mi chiese: “Cos’hai in mano?” E io gli risposi: “E’ il mio primo seme!” Lui disse: “Vai subito a lavarti le mani e non tornare.” Non riuscivo a capire. Perché doveva essere una cosa brutta? Perché il seme che Dio mette nel nostro corpo doveva essere motivo di vergogna?”
Il 95 percento delle persone vissute sulla terra dall’inizio dei tempi hanno abitato case di una sola stanza, dormendo nel letto di famiglia. Hanno visto i propri genitori fare l’amore. Hanno visto l’erezione del padre. Hanno visto il seno della madre. Si sono osservati a vicenda da bambini.
Noi dell’Occidente, invece, siamo cresciuti in stanze antisettiche. Decoriamo le camerette, ma chiudiamo la porta. Per forza siamo tanto curiosi. Per forza viviamo il nostro corpo nella vergogna. Quando succede qualcosa al nostro corpo, siamo convinti che siamo gli unici a cui sia accaduto. Viviamo in un ambiente artificiale, una specie di incubatrice. Non nel modo in cui è vissuta la maggior parte della gente – in una sorta di naturale connessione con i corpi degli altri. Noi cresciamo immersi in un generale senso di vergogna per il nostro corpo, o almeno per i nostri genitali.
Siamo noi, chiaramente, ad avere questo problema. Siamo noi a essere innaturali e prigionieri.
Non riusciamo semplicemente ad arrenderci alla possibilità di vivere il mondo sulla nostra pelle.”
Tratto dal libro: “Esercizi dell’anima – Per soli uomini”, citato anche in questo articolo.
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