donna forte

ARRIVEDERCI FORZA DELLA NATURA

HO PERSO LA MIA MATRIARCA

Grazie, alla donna più forte

Ti è mai capitato di scrivere una lettera e poi di scoprire che la persona a cui ti rivolgevi aveva già lasciato questo mondo?

A me stava per capitare ieri sera. L’avevo già iniziata, dopo averla rimandata una decina di volte. Poi, dopo le prime righe, dopo mesi, sono andata a sbirciare sul suo profilo di Facebook e lì, in un caotico scambio di post e commenti in inglese, ho capito che l’avevo già mancata. Di un paio di settimane.

Sì, il suo profilo di Facebook, perché Fernanda (Vilma nel mio libro) era la donna più tecnologica della sua età che io avessi conosciuto.

Nel libro la descrivevo come mia eroina e mia roccia, ai tempi di Londra, e lei da allora si firmava “Vilma” nelle email a me.

Il libro le era piaciuto molto.

Non ci sentivamo spesso, ma lei mi assicurava che di me si leggeva tutto e che mi seguiva sempre. Io lo sentivo e me ne sentivo sostenuta ogni giorno. Per anni. Fino ad ora.

Ti è mai capitato che nonostante tu sappia che tutti sono morti e tutti moriremo, con una persona molto forte in fondo in fondo speri o credi che lei ce la farà a restare in vita a piacimento? Ecco, per Fernanda sentivo questo così come l’ho sentito solo per poche persone, come Madre Teresa di Calcutta e David Bowie…

All’ultimo suo commento le avevo detto che le avrei scritto presto. Ma gli eventi frenetici accavallatisi nella mia vita mi sembravano sempre troppo impegnativi per accingermi a scrivere quella lettera di aggiornamenti, finché, quando ci sono arrivata, è stato troppo tardi.

i fiori di Fernanda
I fiori di Fernanda – Foto di Sonia Serravalli

Incontrata per miracolo quando ancora dall’Egitto cercavo un alloggio per trasferirmi a Londra, nel 2015. Trovata su Facebook: lei cercava una donna che stesse in quello che chiamava “bungalow” perché presto sarebbe tornata nella sua casa in Liguria. Per poi scoprire che si trattava di un villino adorabile con giardino per il prezzo di poco più un posto letto, per essere Londra – volpi e scoiattoli inclusi e tutti i suoi bei fiori che lei accudiva con tanta solerzia.

Fernanda/Vilma è stata la donna più forte che ho conosciuto in vita mia. E ritengo di avere incontrato migliaia di persone.

Lei si era imposta di studiare nella grande metropoli inglese e aveva lasciato il paesello ligure, in cui i suoi l’avrebbero voluta accasata, per intraprendere, da sola, a Londra, quando ancora si usava il carbone, una carriera ardita e maschile: la carriera di psichiatra. A quei tempi.

Quando andai a vivere da lei, abitavamo a pochi isolati da uno degli ex manicomi più belli e più famosi d’Europa (il Friern Hospital).

Di lei, per fortuna, ho scritto ampiamente nel mio libro.

Nonostante fosse donna di scienza e fortemente atea, ricordo ancora che in Skype con mia madre (in cui non si presentava senza prima essere andata a vestirsi e truccarsi), disse: “Io solitamente non credo a queste cose, ma Sua figlia mi è stata mandata, c’è un legame che in qualche modo sento.”

Mia madre si innamorò subito dei suoi occhi azzurri.

All’epoca Fernanda aveva sugli ottantadue anni, se non ricordo male – più probabile più che meno. Ma non rifiutava mai di imparare cose nuove, non si tirava mai indietro di fronte alle novità tecnologiche e appena l’anno prima era tornata da sola, in macchina, dalla Liguria a Londra.

I suoi occhi chiari erano accesi di una curiosità insaziabile. Non stava mai ferma un attimo. Ed era genuinamente interessata ai miei racconti di vita e alle mie vicende quotidiane: durante la convivenza ci raccontavamo tutto. Avere avuto la sua stima (oltretutto, da subito e per tanti anni) è stata una delle sensazioni più forti e grandi che ho provato in una vita.

Per me diventò da subito una sorta di porto, di roccia su cui contare, anche se spesso da lontano. Infatti, convivemmo solo per un mese in tutti questi anni, poi partì e da allora restammo in contatto solo sporadicamente via Facebook e email e una volta riuscii ad andarla a trovare nel suo paesello d’origine. In una proprietà dal giardino enorme che ancora riusciva a gestire tutto da sola, sgobbando da mattina a sera, fregandosene dei dolori in corpo, fregandosene del fatto che in quarant’anni cinque operazioni le avevano portato via varie parti del suo corpo e della sua femminilità, fregandosene da sempre dei medici che l’avevano data per spacciata quarant’anni prima e del tumore ricorrente. Lei teneva su i suoi fiori e i suoi giardini e quegli uomini ormai li aveva seppelliti tutti.

A casa di Fernanda
Foto di Sonia Serravalli (Barnet, Londra)

Non scorderò mai le due sere in Liguria in cui lei avrebbe dovuto andare a letto presto ma rimase su oltre mezzanotte e mezza, a lume di candela e bevendo vino in nostra compagnia, perché le cose da raccontarci tra tutti i suoi decenni e i miei erano troppe e tutte importanti…

Quella sera acconsentì perfino a partecipare con me allo sciopero globale dell’energia elettrica, così facemmo le ore piccole davanti alle candele, sotto il porticato, davanti alle sue palme e alle siepi fiorite.

Nonostante Fernanda fosse dura come il diamante con se stessa e nella sua forza di volontà, aveva per me delle pensate che mi lasciavano basita. Come se mi conoscesse da una vita.

In quel periodo a Londra cercavo una nuova sistemazione e un lavoro per riuscire ad andare a recuperare la mia gatta in Egitto, con cui ho un altro legame animico fortissimo. In quella casa fredda e umida e nella lunghissima separazione che avrei dovuto vivere da lei, Fernanda fin dalla prima notte mi aveva fatto trovare una lettera di benvenuto, dei fiori sul comodino e una borsa dell’acqua calda pelosa, “così potrai magari immaginarti che lei sia qui con te”.

Fernanda mi diceva di non lavare sempre i piatti ogni volta che ci alzavamo da tavola, che avremmo potuto spostarci in giardino a chiacchierare, che “lavare i piatti ogni volta rende la vita brutta”.

Nella casa fredda dell’infinito freddo di Londra, mi riscaldava il piatto prima di versarvi la portata.

Con Fernanda la conversazione non era mai banale. Parlavamo di fiori, di spirito, di scienza, di follia, di vita.

Con lei se ne vanno un’infinità di segreti di famiglia sparsi tra l’Italia, Londra e la Spagna. Storie rocambolesche di suo padre poeta e di una famiglia (un tempo) benestante, che mi ha fatto il dono di raccontarmi ben due volte, davanti ai nostri svariati bicchieri di prosecco, che non avrebbe potuto bere.

Una volta nel giardino di Londra e una volta nel giardino di Loano. Solo due anni fa esatti. Ma non ho mai avuto il tempo né il modo di scrivere quelle storie, che se ne vanno con lei, difficili, affascinanti, piene di nomi, di fughe d’amore, di tradimenti, di poesie e di segreti. Storie che meriterebbero almeno un altro libro.

Spero che leggerai quello che sono riuscita a scrivere, perché tutti dovrebbero avere un barlume di cos’è Fernanda, di quanto si può essere forti, di quanto dannatamente si può osare andare oltre i propri limiti, senza pietà per le proprie paure, senza ascoltare nessuno se non se stesse/i.

Con Fernanda se ne va anche una parte di me, che forse inconsciamente da lei si sentiva ancora sostenuta: la persona più vissuta che mi sia mai stata data la possibilità di conoscere.

Che lei fosse ancora qui con me nello stesso mondo in qualche modo mi faceva come sperare che tutto sarebbe stato possibile. Non che adesso io ci creda meno, ma ho perso la mia matriarca.

Per me adesso resta la domanda di quanto e quando arriverò, se mai potrò, a sfiorare le sue vette. La sua forza, perché era una forza della natura, contagiava poco o tanto chiunque avesse a che fare con lei. Era impossibile rimanerne immuni, rimanere la stessa persona dopo che avevi visto in azione quella volontà, quell’assenza di indugi, quell’intenzione assoluta. Al punto che quasi tutti la deludevano e non si fidava più di nessuno.

Di lei c’è troppo nel mio libro per riuscire a riassumerlo qui.

Quindi condivido solo il punto in cui la introduco, sperando che anche i tuoi occhi e quelli di tanti altri insieme possano solcare le righe di questa storia e vivere un pezzo di me e di lei che adesso si è spostato…

Cercherò di ricordarmi che alla fine, a modo suo, Fernanda/Vilma se l’è risa di tutti.

Questo me la fa adorare e rende la mia vita più leggera.

DIARIO DI LONDRA – Di Sonia Serravalli

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“Vilma si rivelò da subito una persona molto interessante e non solo: una donna forte, coraggiosa e che nello stesso tempo, come piaceva a me, non prendeva la vita troppo sul serio. Dopo solo i primi racconti del suo passato – l’essersi ribellata al volere dei genitori di sposarla e l’essersi trasferita da sola da un piccolo paesino a Londra per fare carriera in psichiatria, stanca di tutti i datori di lavoro che in Italia a quei tempi le chiedevano sesso in cambio di un’assunzione – Vilma diventò automaticamente la mia eroina. Era una donna di scienza, era refrattaria a credere negli incontri karmici, ma di fronte al nostro incastro dimostrò segni di aver sospettato qualcosa del genere anche lei.

Ci demmo del tu da subito, e da subito parlammo come due amiche, due donne coraggiose il cui dialogo annullava ogni differenza di età, anche se ogni singola volta in cui avrei passato un’ora in cucina ad ascoltarla, togliendo perfino tempo alle telefonate con il fidanzato e con la famiglia, Vilma mi avrebbe insegnato qualcosa di fondamentale. Trascurare gli altri cari, che magari speravano di trovarmi al computer per due chiacchiere, per rubare un’altra ora ai racconti di Vilma, divenne una scelta consapevole. Sapendo che da lì a un mese sarebbe partita, non mi sarei voluta perdere nemmeno un minuto di quella vita preziosa e del succo dei suoi anni, affascinata da come si deve vedere il mondo dalle sue altezze, pensando che a soli quarantun anni mi sono vista cambiare o approfondire approccio e prospettive svariate volte e in modo sorprendente, comprendendo cose preziose da ogni singolo incontro della mia vita, incidente o sorpresa.

Vilma aveva la bellissima abitudine di farsi due caffè ogni mattina, quindi quando, mentre si chiacchierava, mi invitava di sorpresa al secondo caffè, mi sembrava tutto una festa come quando ero bambina. Era rimasta affezionata alla moka italiana, tanto da averne due che metteva sui fornelli elettrici a rotazione. Perché Vilma non amava lavare i piatti e invitava anche me, piuttosto, a godermi la vita e a pensarci dopo. Era buffa, piena di spirito e anche bella, quando si metteva il rossetto per presentarsi ai miei genitori in Skype o per uscire.

Fin dai primi giorni, tendeva a farmi trovare qualcosa di pronto o a voler pensare lei ai piccoli lavori di casa quotidiani, mentre io fin da subito scalpitavo per integrarmi e per imparare tutto. In tono di chioccia, lei mi ripeteva, quel primo giorno come poi per settimane: “Sei appena arrivata! Rilassati, ma dove vuoi correre…” Con questo suo atteggiamento, un po’ divertito e un po’ protettivo, non so se si rallegrasse del fatto di aver “ereditato” una sorta di nipotina in casa e una persona con cui parlare di qualunque cosa, o se volesse esprimere la sua stima e la sua comprensione verso la mia situazione di donna espatriata per necessità e per coraggio – situazione che lei conosceva passo a passo come le sue tasche.

(Sto scrivendo un libro, non dovrei permettere alla realtà presente di entrare a suo piacimento, ma vi basti sapere che ho dovuto sospendere l’ultimo paragrafo a metà perché mi son ritrovata Vilma appesa fuori dalla finestra dietro le mie spalle per pulirla, su una scala instabile… Ma riprendiamo).

Vilma era energica, temeraria, ma soprattutto era la dimostrazione vivente che con la volontà si può arrivare dappertutto e rendere ridicoli e risibili i confini di età, capacità, fisica, che quasi tutto il mondo comodamente e vigliaccamente si auto-impone. Sì, Vilma era per me la prova che gran parte dell’umanità vive dietro scuse, e credo che sia grazie a queste scuse che una vera ed eccelsa civilizzazione non sia ancora stata raggiunta.”

—-

Ora ascolto Ludovico Einaudi e alla sua salute celeste vado a farmi in sua compagnia un secondo caffè.

Grazie Fernanda.

Dal profondo del mio cuore.

Donne forti
Foto di Sonia Serravalli

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2 Commenti

  1. A parte il prosecco che non gradisco (mi piacciono i vini più “abboccati”), il racconto è bellissimo e provo anche un po’ di invidia nei tuoi confronti per aver conosciuto un “Essere” come lei. Doni preziosi che la Vita ci elargisce per togliere un po’ di polvere dal nostro cuore. Effettivamente, le sue vette dovevano essere elevatissime, ma non necessariamente dovranno essere le tue stesse vette. Nel nostro stato d’essere animico, nulla, o quasi, può essere sovrapponibile ed, in fondo, è giusto che sia così. le tue vette potranno essere uguali, maggiori o minori, ma questo nulla toglie al valore intrinseco del “tuo” cammino. D’altra parte, nelle dimensioni della coscienza, non esistono posizioni gerarchiche, allo stesso modo in cui non esiste il tempo e la sua emanazione che è la tempistica. L’importante è essere in cammino con il cuore spalancato e l’amore che fa dono di sé. Ti sono grato per aver dipinto questa immagine.

    1. Grazie di cuore Alessandro,
      pensa che parlavo di questo ieri per consolare un amico: ciascuno ha il proprio cammino e i confronti possono solo portarci giù e non ci portano alcun valore aggiunto!
      In ogni caso lei resta il mio stimolo ancora oggi, soprattutto nei momenti duri, lei, mia nonna (una sua “simile”) e un paio di figure maschili conosciute in una vita – di questi 4, 3 sono già “di là” e magari mi custodiscono un po’ 😀
      Grazie!!!

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