ANATOMIA DEL PERDONO
UN APPROCCIO RADICALMENTE NUOVO AL PERDONO
Parte 1
Tratto da una video conferenza di Teal Swan (esperta di psicologia e spiritualità).
Libera traduzione mia, qua e là rielaborata e integrata con termini e concetti miei.
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Non ho parlato prima del perdono perché il perdono è una trappola spirituale così intensa e il modo in cui le persone in genere trattano il tema del perdono è talmente dannoso che preferirei che le persone non si concentrassero affatto su questo tema.
Il perdono è l’abbandono di risentimento o rabbia e del bisogno di vendetta che proviamo per qualcuno che percepiamo averci ferito.
Il perdono ci fa provare un gran senso di sollievo, con il perdono vengono rilasciate molte tensioni perché ti liberi dal gancio che non ti permetteva di procedere. Non sei più attaccato/a al bisogno di ritorsione o compensazione che ti legava a lui/lei, per poter andare avanti.
Ma quello che ritengo centrale in tutto questo discorso è il seguente assunto:
Non si può forzare il perdono.
Per quanto desideri perdonare, non puoi “tentare” di perdonare qualcuno, non puoi spingerti a perdonarlo.
Il più grande luogo comune riguardo il perdono è quello che tu possa scegliere di perdonare qualcuno, che tu possa “deciderlo”. Come se potessi spingere un bottone in te e farlo.
Le persone vogliono che tu perdoni per due ragioni:
- È ovvio che vogliono vederti stare bene e finché provi rabbia o desiderio di compensazione, non stai bene. Vogliono accelerare il processo, così che tu possa stare bene.
- Quando senti queste emozioni negative, accendo emozioni negative anche in loro. E la maggior parte delle persone non sa gestire le proprie emozioni negative.
Spingere qualcuno a perdonare è un abuso emotivo. Prima di tutto perché quando lo facciamo stiamo anche suggerendo che il modo in cui questa persona si sente non è giusto, o valido, o “buono”. E in secondo luogo perché invitare una persona a perdonare qualcuno che l’ha ferita ci rende come un passante casuale. È come se a quel punto diventassimo alleati dell’offesa subita. E, quindi, anche complici.
Tu desideri perdonare per due ragioni:
- Per stare bene
- Perché non puoi restare nello stato di non perdonare qualcuno senza sentirti una cattiva persona
Ciò è dovuto ai condizionamenti della nostra cultura, dove il perdono è visto come santo e il non perdono come qualcosa di diabolico. Quasi ti senti come se dovessi perdonare per mantenere una buona idea di te stesso/a.
Stranamente, questo culturalmente pare non valere quando si tratta di noi, anzi sembra funzionare quasi al contrario. Perdonare noi stessi ci sembra spesso qualcosa da non fare, come se così facendo giustificassimo errori e peccati. Sembra semmai virtuoso bacchettarsi e non perdonarsi mai, perché così non dimenticherai e non rifarai lo stesso errore.
Il perdono non può essere forzato perché le emozioni negative (collegate in questo caso al non perdonare una persona) non possono essere semplicemente spente con un interruttore. Devono essere elaborate.
Questo perché le emozioni non mentono mai. Esse sono sempre il riflesso perfetto di nostre percezioni. Ciò significa che per sentirti diversamente, devi cambiare completamente la tua prospettiva.
E questo non è semplice come spingere un bottone.
Prendiamo l’esempio di un uomo che resta paralizzato perché investito da un autista ubriaco. Certamente non avverrà dalla sera alla mattina che egli si senta stupendamente, o veda ciò che gli è successo come “una benedizione” e che si senta in armonia con tutto il creato.
Ci vuole un lungo percorso per sentire come benedizione ciò che realmente si percepisce come maledizione.
Ostentare la propria capacità di perdonare a volte nasconde solo rimozione e soppressione delle emozioni negative attraverso la frammentazione di sé.
L’aggiramento, la rimozione sono il cancro del mondo spirituale di oggi e la sua deformazione più diffusa e pericolosa. E la cosa non si limita al mondo spirituale, ma pervade la nostra cultura. È solo un modo di evitare le emozioni negative, non di elaborarle e risolverle. Ed evitare qualcosa crea resistenza.
I vari credo religiosi, spirituali e le convinzioni sociali possono fornirci un’ampia gamma di giustificazioni per vivere in uno stato di non-autenticità. Come il rimuovere ciò che è spiacevole e visto come “sporco” in vista di ciò che è generalmente considerato illuminato o virtuoso.
Nel mondo attuale abbiamo una soglia di tolleranza bassissima per l’elaborazione del nostro dolore. Preferiamo soluzioni istantanee o l’intorpidimento del dolore, con qualunque mezzo esterno.
A questo scopo, utilizziamo anche assunti del mondo spirituale, in particolare quello della trascendenza dei nostri lati umani, prima di averli incontrati e di averci fatto pace. Ma questa è solo trascendenza falsa e prematura.
Essa è pericolosa, perché causa un’importante frammentazione interiore. Essa crea una vera e propria frattura tra dove siamo e dove dovremmo essere. Questo ci porta a mentire a noi stessi, a recitare e a interagire con il mondo attraverso la proiezione di un falso sé.
In questo processo, di solito tendiamo a sopprimere e a negare i lati di noi stessi che si sono sentiti feriti. Per identificarci invece con aspetti di noi stessi che sono oltre tutto questo (“identificazione selettiva”). Fare questo è come rompersi una gamba e negarlo, applicando un cerotto sopra una frattura composta. Per poi finire confusi a chiedersi perché si deteriora anziché passare.
Non possiamo guarire se prima non ammettiamo quello che sentiamo e dove siamo in quel momento.
Serve una percezione molto scrupolosa per discernere se abbiamo realmente perdonato o se abbiamo solo eretto una maschera che ci ha convinti che siamo “oltre”, mentre stiamo solo buttando tutto sotto il tappeto.
Le persone che hanno realmente perdonato non ti spingeranno mai a perdonare.
Se una persona ha solo rinnegato le proprie emozioni e non realmente perdonato continuerà a proiettare nella propria vita (ad incontrare) quasi sempre persone che fanno lo stesso – che negano, rinnegano, sopprimono e che sono piene di rabbia verso chi non riesce a trascendere se stesso.
Rinnegare quello che sentiamo nel profondo, voltargli le spalle con delle strategie, significa in realtà abbandonare noi stessi. Il vero perdono può avvenire solo quando tutte le parti di noi sono pronte ad andare avanti e si sentono di farlo.
Detto tutto questo, quali sono i passi per raggiungere un vero stato di perdono?
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