anaffettivo

ATROCE IMPASSIBILITA’ MASCHILE

QUANDO L’ANAFFETTIVITA’ DISTRUGGE

Eh sì, per una donna l’incapacità maschile di manifestare emozioni e di ricambiare le espressioni emotive di lei vengono vissute come atroci.

Niente di meno che questo. Anche se all’uomo non fa piacere sentirselo dire, perché lui è, a sua volta, già alle prese con la sua tempesta interiore e l’incapacità di farla manifestare, insieme al pericolo di implodere (in apatia, depressione, disperazione nascosta, eccetera).

Impassibilità.

Freddezza.

Indifferenza.

Anaffettività.

Questo ciò che molti uomini, posti di fronte ai momenti maggiormente emotivi (una separazione, un conflitto, una scelta) manifestano.

L’arte del contenimento, della forza e della risolutezza maschile, di fronte a blocchi emotivi, può trasformarsi in atteggiamenti vissuti come un crudele muro.

Per esemplificare una di queste situazioni, vissute in tante forme simili da tante donne, prendo in prestito il brano con cui Maura Ronza ha presentato il mio live sul suo canale “StayZen” – una storia, anche questa, purtroppo autobiografica, in cui molte di noi possono certamente rivedere se stesse e il proprio ex:

anaffettività

“4 anni fa ero perdutamente innamorata di un uomo.⠀

La nostra separazione fu un momento molto doloroso. Ricordo ancora il nostro ultimo addio, io ero tra le sue braccia, con la testa schiacciata contro il suo petto e gli occhi gonfi di lacrime, piangevo così tanto che avevo l’impressione che mi stessero strappando il cuore dal petto. Sapevo che di lì a poco non avrei mai più rivisto quello che all’epoca credevo essere l’amore della mia vita.

Ero triste, stanca, scoraggiata, ferita, delusa, arrabbiata…e poi guardavo lui, lo sguardo spento e perso nel vuoto, stava soffrendo quanto me ma a lui non avevano insegnato a piangere.

Quanto avrei voluto in quel momento conoscere le sue sensazioni, le sue emozioni, quanto avrei desiderato avere un confronto, un ultimo confronto. E invece no, ha girato le spalle e se n’è andato via, senza mai voltarsi indietro, senza dire nemmeno una parola.

Mi ci sono voluti mesi per perdonargli quell’atto, allora ai miei occhi, così meschino e vigliacco, ma poi ho capito, ho capito che lui stava male quanto me ma non aveva gli strumenti giusti per affrontare la situazione, non aveva gli strumenti per esprimersi ed urlare al mondo il dolore che stava provando.

Lui non sapeva piangere. L’uomo non sa piangere!

E piangere è uno degli atti più “umani” di cui un abitante di questo pianeta possa fare l’esperienza.

Il pianto è un momento di introspezione, un momento sacro da trascorrere con se stessi, è un modo per far fluire la tristezza e non lasciare che prenda troppo spazio nel nostro cuore, è un momento di condivisione, un modo per dire all’altro “ti sento e capisco cosa stai provando”, e anche un modo per gioire delle bellezze della vita e per esprimere la propria felicità all’ennesima potenza.

Anche se, obiettivamente, storicamente la vita non è stata tutta rose e fiori per le donne, le “regole” assurde che vigono nell’universo maschile non gliel’hanno resa altrettanto semplice, anzi, non hanno fatto altro che allontanarli dal loro infinito potere interiore.”

indifferenza

Quante di noi hanno vissuto questa situazione? Temo, non poche. Anzi, a periodi penso si tratti del “male del secolo”.

Cosmopolitan riporta:

“Dal un punto di vista della parola, per anaffettività si intende l’incapacità di una persona di provare o esprimere affetti.”

“All’anaffettività può essere legata la cosiddetta alessitimia (anche alexitimia, dal greco a- «mancanza», lexis «parola» e thymos «emozione» dunque: «mancanza di parole per [esprimere] emozioni»), che consiste in un deficit della consapevolezza emotiva, che comporta:

l’incapacità sia di riconoscere sia di descrivere verbalmente i propri stati emotivi e quelli altrui.”

Altro aspetto molto frequente negli uomini.

Se chiedete a una donna perché è intervenuta, o è scappata, o è stata bene o male, quasi sempre vi saprà dire subito esattamente il motivo, il moto interiore che l’ha fatta agire o sentire così.

Se lo chiedete a un uomo, potreste ricevere spesso la risposta: “Non lo so”, e l’accenno al doversi “sforzare” per “pensarci”.

Questo atteggiamento, purtroppo molto diffuso a causa di una serie innumerevole di fattori che ci hanno portato allo stato socio-psicologico attuale, denota una profonda sconnessione tra testa e cuore, la sconnessione interiore tra il sentire e il razionalizzare, tra il sentire e il porre rimedio a un disagio, o il godersi qualcosa di piacevole in piena consapevolezza.

(Articolo: Perché si è insensibili alla sofferenza altrui?)

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Come porvi rimedio? Per le donne che stanno accanto a un uomo così (o che lo perdono)

Unico lavoro fattibile:

  • Prendersi cura di sé e delle proprie reazioni. Lavorare su di sé, dentro di sé, in particolare sul non sentirsi vittima.
  • Togliersi dalla testa l’idea di avere subito qualcosa.
  • Fare chiarezza (come ha fatto Maura nel suo testo condiviso) sui problemi/blocchi reali che ha l’altra persona e sulla certezza che non è colpa nostra.
  • Infine, empatizzare a fondo con la realtà dell’altro, anche se a noi è estranea, e arrivare attraverso questo al perdono. Poi, al lasciare che sia – o al lasciare andare.

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Come porvi rimedio? Per gli uomini bloccati emotivamente

(non amo la parola “anaffettivo”, sembra sempre un’etichetta immutabile e non lo è)

I percorsi possono essere tanti, dalla psicoterapia a tante altre tecniche, se e solo se la persona stessa è intenzionata a stare meglio e a sciogliere questo stato di cose. A liberarsi.

Comunque, a mio avviso i passi più importanti sono due:

  • Fare tutti i passi necessari per tornare in contatto con il proprio corpo, con la propria fisicità, manualità e con tutti i sensi;
  • Esercitarsi nell’acquisire intimità con se stessi (parte del passo precedente) e nel rapporto con l’altro/a.

 

Su questo, cito e condivido qui alcuni brani del mio libro IL MASCHILE SACRO, che, se sei una donna, potrai condividere con il tuo compagno o con gli amici.

Importante: non sentirsi goffi, non giudicarsi e sapere che qualunque minimo passo nella direzione della riconnessione è infinitamente meglio che non fare niente al riguardo. Per il proprio bene. Per la propria libertà.

ALCUNI PASSI

Per vincere questa battaglia, dovrai iniziare ad ascoltare le tue emozioni, a dar loro credito e comprendere che esse sono la vera bussola che guida i tuoi passi e le tue scelte. Dovrai smettere di tradirle.

Certo, avrai paura, tutte le cose nuove fanno paura e sfidare mostri antichi fa paura, ma non è forse a questo ciò a cui tendono tutte le figure sacre del Maschile nella storia?

Sfidare mostri e vincerli. Non servono le armi. Il loro punto debole è spesso qualcosa a cui non avevi ancora pensato.

Poi, potrai iniziare a fare pratica nel condividere le emozioni che hai individuato in te con le persone che ami. Muoviti lentamente, non avere fretta. Ricorda che questo lavoro ti renderà libero.

Inizia a notare quando e quante volte ignori l’altro/a (e te stesso nel tuo stesso bisogno di esprimerti!) nei suoi bisogni profondi per paura di esporti o di scoprirti troppo.

Quando e quante volte eviti di percepire quello che realmente stanno cercando di dirti, darti, chiederti o condividere. Metti in dubbio le tue reazioni automatiche e chiediti se alla base vi sia una percezione obiettiva della situazione oppure no.

Scopri con grande gioia, da adulto, quante volte ti sei difeso da qualcosa che non avrebbe potuto nuocerti in alcun modo. Che sarebbe bastato dare credito agli altri e ascoltarli meglio, senza difendersi.

guarire emotivamente

Inizia ad ascoltare di più il tuo corpo e dove nel corpo può situarsi ogni tua emozione: rabbia, dispiacere, delusione, piacere, amore, tenerezza o altro. Inizia a diventare consapevole anche delle altre tue parti corporee e di quello che ti comunicano (tensioni, pesantezza, leggerezza, chiusura, apertura, vibrazione o altro) oltre al cervello e ai muscoli.

Ti sei rifugiato in una vita sull’esterno credendo che quello fosse tutto, perché stare dentro il tuo corpo ti avrebbe portato a sentire, e il tuo sentire era stato invalidato.

Per tornare a sentire le emozioni attraverso le sensazioni corporee, esercitati a massaggiarti i piedi mentre ti ascolti.

Medita o entra in contatto con le tue emozioni mentre fai un bagno caldo.

Cammina a piedi nudi.

Prova la bioenergetica.

Rallenta i tuoi ritmi, accarezzati o usa una spugna morbida sotto la doccia, ascoltando quello che si risveglia in te in ogni singolo centimetro della tua pelle.

Ascolta o segnati su un quaderno cosa provi di fronte a determinati pensieri negativi e poi di fronte ai pensieri più positivi. Richiamali deliberatamente e osserva.

Se fai fatica a denominare le tue emozioni, cercane delle liste in rete e vedi a cosa si avvicina di più ciò che senti. Di fronte a pensieri diversi. E di fronte alle diverse esperienze della giornata.

Se te ne dimentichi, imposta un timer più volte al giorno per ricordarti di ascoltarti e di dare un nome a quell’emozione. E di fare questi esercizi.

 

Fai caso a quando emozioni positive ti fanno scappare più di emozioni negative. Perché non ti sono più familiari, perché non te le sei permesse fino a oggi.

Tenerezza, pianto di gioia, ilarità piena, coccole, parole, bellezza, gioia da condividere, regali da fare o da ricevere, complimenti e lodi da fare e da ricevere, un viaggio in compagnia, condividere il silenzio. Sesso di qualità e non solo sesso genitale. E tanto altro.

Quante e quali di queste cose ti terrorizzano e per anni hai finto che fosse normale così? Che tu fossi “così-e-basta”?

 

Individua le tue esigenze e dà loro importanza. Ponile al centro del dialogo quando necessario, o manifestale amorevolmente in altro modo. L’altro/a deve sapere se i tuoi bisogni possono essere o meno compatibili con i suoi, e tu hai il diritto che essi vengano ascoltati.

 

Affronta la tua sensazione di vergogna di fronte a questi o altri momenti. Credo che questo sia l’eroismo più profondo che un uomo possa manifestare.

Vai dietro quella sensazione e cerca di capire cosa nasconde. Il tuo senso di vergogna è solo tuo e non rappresenta una realtà obiettiva per gli altri. Agli altri non è neanche visibile!

Ricorda che queste sensazioni e idee non sono obiettive. Sono i “demoni” che ti tengono legato e quando riesci a indirizzarci su la tua luce, essi scompaiono. E tutto quello che credevi scontato non lo sarà più. Sarai libero.

 

Richiedi alla persona a te più vicina (o ai tuoi familiari) quando attui meccanismi di difesa, di allontanamento di te stesso o della tua partner. Hai scelto di diventare consapevole dei tuoi meccanismi indotti: lascia che una persona di cui ti fidi possa farteli notare.

Impara a stare con l’altra/o, senza subito obbedire ai tuoi ancestrali impulsi di fuga. Questo mi ricorda certi esercizi che si fanno con i cani e anche con i cavalli spaventati. Sottoporli in maniera graduale e reiterata allo stimolo che li faceva fuggire, poi in grado sempre maggiore, fa sì che essi registrino un nuovo programma mentale: di fronte a quella cosa, non succede niente che possa nuocermi. Fino a sedimentare la nuova convinzione: posso restare. Al punto da non avvertire più nemmeno l’insorgere di alcun timore.

Vivere l’intimità richiede coraggio. […]

Essere coraggiosi non significa non avere paura.

Essere coraggiosi significa accettare che la vulnerabilità stia naturalmente alla base della nostra vita così come delle relazioni con gli altri e decidere deliberatamente di stare in piedi in questa vulnerabilità ogni giorno.”

emozioni e sentimenti

 

Qualche curiosità in pillole sul tema

– tratte dal sito “Al Femminile”:

Lo status di anaffettivo è molto più comune di quanto si possa pensare ed è spesso protagonista di film, serie tv e libri. Qualche esempio?

Il libro di Massimo Gramellini “Fai bei sogni” che è diventato poi un film diretto da Marco Bellocchio e con protagonista Valerio Mastandrea: rimasto orfano della madre sin da bambino, crescendo si scontra con la difficoltà di amare e di trovare una donna che gli stia accanto.

Anche la serie TV “The Big Bang Theory” ha provato a raccontare il fenomeno, esplorando in chiave ironica la vita di una persona anaffettiva e tutte le difficoltà quotidiane che ne conseguono.
In ultimo vogliamo citare anche il romanzo “Bel Ami” di Guy de Maupassant con un protagonista seduttore, ma anaffettivo.

Buone riflessioni e buona settimana!


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