UNA PROVA DELL’ALDILA’
CIAO FRANCESCO E GRAZIE
L’altro ieri avevo scritto un brano sulla morte, pensando a un amico che aveva lasciato il corpo il giorno prima.
Segretamente gli avevo chiesto un segno, visto che era appena andato di là, di conferma che tutto quello in cui credo di credere da decenni fosse vero. Nonostante di conferme ne avessi già avute in maniere svariate e fantasiose.
Ebbene, ieri mattina il mio articolo coi riferimenti a lui era sparito. In pratica, Francesco se l’è preso direttamente. Sul PC ho cercato ovunque e in qualunque modo: non c’è. Ho avuto la mia risposta. E ora mi tocca riscriverlo 😊
Eccolo qua, più o meno ciò che scrivevo due giorni fa.
Ieri un amico solare e pieno di vita ha lasciato il corpo. Era pronto, se lo aspettava e in qualche modo era stato lui, con la sua energia prorompente, a preparare noi amici a questo salto.
Dieci giorni fa al telefono ridevamo insieme della morte.
Camminavo scalza sull’erba mentre mi parlava, sentivo il prodigio del disegno infinito e lui mi diceva che siamo fortunati, che stava vivendo in una costante bolla di bellezza.
Se una persona è molto vitale, nella sua energia vulcanica include per forza anche la morte. Una vitalità che finga di non vedere la notte, l’inverno, la trasformazione e il ciclo delle cose non sarebbe una vitalità né autentica, né matura, né piena.
Da tempo mi chiedo, di fronte al dolore per una persona cara che passa a un altro piano, se esso sia reale: se provenga realmente da noi, oppure se sia un fattore in qualche modo ereditario e culturale, dato dal fatto che nella nostra cultura da secoli vediamo piangere i cari di chi lascia il corpo (o “muore”, come si dice).
Cosa oltretutto non scontata nelle altre culture.
Il fatto è questo.
Ritengo che il dolore sia da chiarire (con la luce) per poter essere affrontato e per non farsene schiacciare. Bisogna andarci dentro e sezionarlo una parte alla volta, perché viverlo come un panzer che ci arriva addosso tutto d’un pezzo può davvero farci male o addirittura danneggiarci. Cosa che nessuna persona cara che se ne vada desidererebbe per noi.
Prima di tutto: in quel dolore, ci sono due dolori.
Il dolore per la mancanza sensoriale di quella persona, che proviamo e proveremo. Non potremo più avere la sua voce, il suo odore, il suo abbraccio, la sua presenza visibile. Tutti aspetti che fanno parte della nostra dimensione corporea, che sono unici, esclusivi e irriproducibili e la cui mancanza proprio per questo stentiamo davvero a concepire (cosa che, se pur in modo diverso, avviene anche quando si interrompe una relazione). Per questo l’ho chiamata mancanza sensoriale.
Poi, c’è questo strano dolore per la presunta convinzione che quella persona “meritasse di meglio” o che “non lo meritasse”. O comunque il dispiacere per vederlo interrompere la sua vita, quale noi la conosciamo.
Ecco, su questo dolore nutro i dubbi dei condizionamenti culturali di cui parlavo sopra.
Presumere che una persona stia perdendo qualcosa anziché guadagnando qualcosa nell’andarsene altrove implica conoscenze ultraterrene di cui quasi nessuno di noi è dotato. Dunque, ha questo dolore davvero qualche base o soffriamo gratuitamente?
È un po’ come quando stiamo male (in ansia, o soffriamo di stress o insonnia a causa della paura) prima di un’esperienza d’impatto che ci attende e poi tale esperienza si rivela fantastica e addirittura vorremmo ripeterla. Chi ci dice che il passare a uno stato diverso da questo non sia proprio così?
Un altro aspetto su cui ragionavo (e ci ho pensato a lungo da quando se ne andò David Bowie, l’“uomo delle stelle”, per cui scrissi questo brano inedito) è che, al di là del dolore, c’è una sorta di fascinazione scura che ci avvolge quando viviamo il trapasso di una persona.
È come se segretamente e ancestralmente avvertissimo quello che se ne va come una sorta di eroe per aver superato una soglia che noi da qui fatichiamo persino a concepire. Ecco, una persona che è andata di là in qualche modo ha aggiunto questo alla gamma delle sue esperienze, ha reso reale una sfida potenziale.
Come descrivevo nel brano per David Bowie, è come se questo la rendesse “superiore” a noi.
Quella persona ha superato la barriera dell’essere “persona” per trasformarsi in “essere”. E, addirittura, “essere ovunque”. Cosa che ho sentito anche in altri casi di perdita e certamente anche quando se n’è andata lei.
Al di là del dolore, credo che questo crei in noi una sorta di fascinazione, quasi di soggezione per il coraggio di cui siamo stati testimoni. “L’ha fatto davvero”, questo continuava e continua a ripetermi la mente senza volersene capacitare.
Grazie Francesco, grazie per avermi permesso di dirti che l’ultima volta ti ho mancato per un pelo a colazione. Dopo una mia conferenza a Roma, dopo aver dormito in tre in quella stanza sul lago di Bracciano, con la luna grande dal balcone, te ne sei partito in silenzio prima che mi svegliassi, con la tua foga di continuare il tuo viaggio artistico per l’Italia.
Normalmente queste sono le cose che si rimpiangono nel dolore della dipartita, ma con i supereroi come te queste cose si possono dire per tempo, e ridendo.
Grazie per avere riso insieme a me della morte, cosa che faceva anche mia nonna paterna sotto i bombardamenti, quando poi per esorcizzare l’inferno organizzava feste con italiani e tedeschi che fossero e i vicini la sentivano ridere.
Grazie anche per le riflessioni che mi hai risvegliato, che spero potranno essere utili almeno a qualcuno. Anche se mi hai fregato il primo articolo, oggi l’ho riscritto più lungo e più completo, così ora ce l’abbiamo tutti e siamo tutti contenti 😊
Grazie.
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Condivido e sposo profondamente questa tua visione del trapasso. Un tempo, sentii da Enrico Ruggini una bellissima spiegazione della morte, che lascio qui come contributo a questo bellissimo articolo. Immaginiamo due gemelli nel ventre materno, al momento del parto: non appena il primo è uscito dal ventre materno, il secondo rimane per qualche istante – più o meno lungo – improvvisamente solo, senza avere la più pallida idea di che cosa sia accaduto all’essere vivente con cui aveva sempre condiviso tutto. Improvvisamente…. puf! Scomparso, nessun contatto, nessun movimento, niente di niente. E soprattutto nessuna notizia di dove sia finito e perché… Dovrà uscire anche lui dal ventre per poter comprendere – a un qualche livello – l’accaduto.
Più o meno la stessa dinamica ci accade quando qualcuno sembra “sparire” dalla nostra vita: non è sparito, è solo dall’altra parte del muro, come recita quella bellissima poesia che continuavano a mandarmi quando il mio compagno “sparì”… Grazie per questo articolo, ho letto anche quello su Vilma Fernanda… e ho vissuto un pezzettino della vostra storia!
Ma che spettacolo Roberta!
Grazie di cuore! Questo parallelismo è bellissimo e prezioso!
E grazie per aver toccato anche la realtà viva di Fernanda, grazie! 😀 Alla prossima!
Un abbraccio forte, Sonia
❤ Niente è a caso 😉 Grazie a te